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La Bestia Carenne – Catacatassc’

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Che Django Reinhardt si sia reincarnato in Campania fondendosi con le sonorità locali? Questo il primo pensiero che salta alla mente quando inizio ad ascoltare “Catacatassc’”, primo brano del disco d’esordio de La Bestia Carenne. Intendiamoci bene però: qui l’influenza del famoso ed indimenticato chitarrista belga si sente già dalle prime battute ma di Jazz c’è giusto qualcosa, solo un timido accenno; c’è tanto invece di rumorismo tipico della No wave newyorkese e persino di musica tradizionale mediterranea (in particolare greca). Folk quindi? Probabilmente sarebbe piuttosto limitante ascrivere queste tredici canzoni in un solo genere, per cui forse è meglio procedere continuando l’analisi brano per brano senza scadere in inutili “etichette”. In fondo di idee il gruppo è pieno, come si evince in “Il Sapore”, che a tratti ricorda anche Vinicio Capossela, e in “Billy il Mezzo Marinaio”, un dolce e malinconico Swing che ci riporta indietro fino agli anni cinquanta. L’inizio di “Le Cose che Desideri” addirittura rimembra lo stile Frippiano, ma conclude collegandosi con una traccia di appena ventuno secondi dal titolo eblematico “#1” in cui un piccolo vociare fa da sottofondo a un cantato in lingua inglese; giusto il tempo di introdurre “La Vacanza di un Ferroviere” dedicata a una categoria di lavoratori di cui spesso ci si dimentica di parlare nelle canzoni. Il viaggio sonoro prosegue con “Transkei” e “Una Macchina Trasversale”, in cui Giuseppe Di Taranto (voce e chitarra acustica) Antonello Orlando (chitarra elettrica), Paolo Montella (voce, basso e tastiera) e Giuseppe Pisano (percussioni) raggiungono l’apice del mio personale indice di gradimento. E così si giunge al secondo spartiacque, “#2” , che però forse avrei evitato, in quanto non aggiunge né toglie nulla al valore artistico del disco. “Jeanne” è un piccolo concentrato di perfetta arte sonora, genuina e spontanea, tanto quanto lo scorrere molto enfatizzato ed accentuato delle dita sulle corde della chitarra in “Toccare”. “Uno Studente e Vysotskij” e la malinconica “Cadillac” chiudono questo disco che è praticamente privo di difetti . I quattro ragazzi campani hanno già un curriculum fatto di oltre ottanta concerti di cui molti in apertura per artisti quali Brunori Sas, Francesco Di Bella, Folkabbestia, Giovanni Block, Nick Mulvey, Nino Bruno e le 8 Tracce, Modena City Ramblers e 24 Grana ma sono sicuro di una cosa: verrà il tempo (presto… molto presto!) in cui saranno loro i veri headliner della serata! Bob Dylan e Neil Young sono stati avvisati.

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Sabba & Gli Incensurabili – Nessuno si senta offeso

Written by Recensioni

Finalmente un qualcosa che ci tiene fuori per un tot di minuti dagli orrori della TV, dalla politica ipocrita e – meno male – dalla musica senza idee, e l’occasione di questo qualcosa ce la forniscono i campani Sabba & Gli Incensurabili, musicisti pazzoidi che incrociano Elio e le storie tese e l’have fun attitude su storielle amaramente buffe alla Smash Mouth, un teatrino musicale di musica e cabaret che si espande su territori di sensi, controsensi, giochi di parole, piacionerie e verità tra i denti, tutte stipate come un lotto di San Marzani in “ Nessuno si senta offeso”, disco dalla tracklist dinoccolata, storta e piacevolissima su vizi e  – poche –  virtù di personaggi spalmati su sfighe e particolarietà.

Dentro atmosfere blues, rock , pop, il colpaccio di Sabba e C. si perpetra in men che si dica, tutto procede con eccitazione e verve, un concentrato di istrionismo e rimandi che sdogana il chiuso dei soliti clichè per presentarsi con un carico di canzoni ed intenti che in fine risultano pregni di sostanza e bellezza capovolta, anche perché solo così un certo tipo di “musica visionaria” può essere veramente lievitante, e qui di companatico immaginario c’è n’è da vendere; per raccontare tutti i “gossip” di questo registrato bisognerebbe uscire con un allegato, ci limitiamo a trascrivere l’emozioni e le caratteristiche comunicative che Salvatore Lampitelli – questo il vero nome di Sabba – sciorina come un crooner scoppiettante che sa dare allegria a tasche piene a chi l’ascolta, specie se si fanno due conti in tasca a “Eva” quando la condizione di cornuto è tutto sommato un trofeo, quando la sfiga di un lontano Baggio contro un Del Piero  brucia ancora “Un’opinione stabile”, più in la l’esigenza di far prendere aria – fuori dai jeans – allo strumento da fiato per antonomasia “Il mio kazoo”, il ritmo rock- jazzato per la richiesta di una marchetta all’Assessore  comunale da parte di un panettiere “Benedetta pazienza” o la cover allucinata di “Via con me” di Paolo Conte, tutto fa parte di questo spettacolo che i nostri campani ci regalano come una promessa di continuità.

Storie dentro, fuori, ai confini urbani della realtà, Sabba & Gli Incensurabili sono immaginifici, arrivano, incantano e partono come un treno all’alba strapieno di suoni, risate e umori che danno anche quel senso di gloriosa nostalgia prog anni settanta che dietro i voli di flauto traverso “Che casino là fuori” ancora ci garantiscono, fino all’ultimo minuto, la saggezza dell’ironia.

 

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