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Cadaveria – Silence

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Cadaveria non ha bisogno di presentazioni, l’oscura signora è uno dei personaggi più in vista nel metal estremo italiano. Un po’ per la sua indiscussa carriera, un po’ per il suo talento e soprattutto per la sua presenza scenica ammaliante. Non dimentichiamo che la Dama in Nero sventola la bandiera tricolore per il Mondo (nel Sud America ha praticamente un esercito di devoti) e lo fa con classe, con orgoglio, con successo. E’ vero, forse con il tempo il sound di Cadaveria si è leggermente ammorbidito, ma esperienza e sperimentazione sono le sue caratteristiche principali e la sua penultima fatica, Horror Metal, la dice lunga. Probabilmente il giusto equilibrio è cominciato da In Your Blood, dove, aggressività e cupezza erano dosati nella giusta maniera. Oggi ci troviamo ad analizzare Silence che, effettivamente, è il quinto studio album dell’artista. Per parlare di questo disco voglio adoperare una personale descrizione, voglio parlare dell’immaginazione che mi ha suscitato quando l’ho visto e ascoltato. Bene, la prima curiosità, la prima attrazione, lo ammetto, è stato l’artwork: quel sinistro giullare colorato di viola e nero circondato da un decadente quanto opaco paesaggio ha cominciato a farmi frullare le prime idee. Sarò sincero, questa copertina ha influito non poco sulle aspettative del sound, da quell’immagine mi lasciavo suggestionare ideando nella mia testa come potesse suonare il disco. In un modo o nell’ altro mi sono lasciato trasportare: ho sentito quel senso di macabro (che Silence emana a dismisura) in canzoni come “Existence” o “Death, Again”, ho centrato l’inquietudine di “Carnival Of Doom” e di “Loneliness” e ci ho visto giusto sulla tecnica maturata in tracce tipo “Free Spirit”, “Out Loud” ed “Exercise1”. Cadaveria ha realizzato un lavoro che in pochi riuscirebbero a fare, non è facile migliorare il sound e tenerlo sempre sugli stessi livelli. Silence riesce a ben dosare Gothic, Black e Thrash, e la voce sinistra di Cadaveria è la ciliegina sulla torta. Insomma, si tratta di un disco di un certo calibro, dire maturo sarebbe troppo scontato perchè come già accennato prima l’Oscura Signora le ha sperimentate quasi tutte o meglio ha provato in tutti i modi a raffinare il proprio stile, il proprio suono. Il bello di Silence è questo: sembra di ascoltare un The Shadow’s Madame perfezionato. Per concludere, posso soltanto consigliarvi di possedere questo disco (con tanto di booklet che è eccezionale), ascoltarlo vi farà capire tante cose di questa nostra artista.

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Bloody Mary – Anno Zero

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Quando sei in giro per i concerti e bazzichi da uno studio di registrazione all’altro sputando sangue e sudando le famose “sette camicie” stai certo che le ossa le irrobustisci e di esperienza ne fai tanta. Metti poi che le intenzioni sono delle migliori e dunque le idee ci sono, ed anche buone, non puoi che svolgere un ottimo lavoro. Questo è ciò che è successo ai nostrani Bloody Mary, che a parer di chi scrive sono una salda realtà della scena Gothic italiana, un punto di riferimento che in circa dieci anni è riuscita ad affermarsi divenendo un gruppo chiave. Aldebran e soci arrivano, alla fine, a proporre un suono che è diventato un marchio di fabbrica garantito, nel senso che se ascolti una canzone dei Bloody Mary (o del loro ultimo disco protagonista della nostra recensione), Anno Zero, riesci a captare da subito la natura di provenienza del brano. La gavetta c’è stata, gli sforzi sono stati tanti ma alla fine il risultato ottenuto è più che soddisfacente e la Goth band milanese lo sa bene, può godersi gli elogi e vantarsi dell’ottimo operato svolto in circa un dieci anni di onorata carriera. Anno Zero è un disco dalle mille sfumature, gli intraprendenti ragazzi sfoderano tutto il loro talento sfornando cosi un disco divenuto punto di riferimento per gli amanti del genere in Italia. Ci troviamo tra le mani un lavoro fresco che amalgama aggressività, melodia e dolcezza; la sensuale voce di Aldebran è un altro elemento distintivo, potremmo considerarla la via di mezzo tra quella di Ville Valo degli HIM e quella di Jirky dei 69 Eyes.

Con Anno Zero notiamo comunque le prestazioni di una band matura che in un certo senso è andata alla ricerca di un sound personale capace di trasformarsi in uno stile molto personale e perciò riconoscibile velocemente dall’ascoltatore. In una playlist di Gothic Rock si farebbero notare subito canzoni come “Chase The Nowhere” o “Crawling” per non parlare della dolce “Frozen” che, a parere personale, risulta essere l’indiscusso cavallo di battaglia del platter. Durante l’ascolto non sarà difficile farsi rapire dalle note di “Judith”, un inconfondibile ballata capace di lasciare a bocca aperta, oppure la sensuale “So Far Away” ritmata al punto giusto. Anno Zero è un disco che piacerà a molti, non resta che farsi trascinare dalla seducente musica dei Bloody Mary.

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Death SS – Resurrection

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C’è poco da fare, quando si parla di Steve Sylvester e dei suoi Death SS si spendono solo belle parole, questo perchè si va incontro alla garanzia e ci si imbatte in un marchio di fabbrica registrato. E’ vero che per la storica band tricolore gli ultimi anni sono stati poco positivi, non per questo sono reduci da una “sorta” di scioglimento e la reunion è avvenuta proprio grazie a Resurrection (la loro nuova fatica nonché oggetto principale della nostra recensione). Ogni opera dei Death SS ha sempre una singolare caratteristica che distingue il nuovo disco dal precedente; da sempre la loro bravura sta anche nel far differenza addirittura tra i pezzi stessi dell’album, ogni traccia rappresenta un’esperienza diversa, Resurrection ne è la prova. La proposta della band è la solita: Heavy Metal di alta qualità con riff, assoli, eleganti giri di chitarre e superlative atmosfere, nulla è messo da parte e i tanti anni d’ esperienza di Steve e soci hanno un peso specifico notevole. Come già detto in precedenza ogni pezzo ha un proprio punto di forza, una particolare caratteristica che rende particolarmente unica la produzione dei Death SS, una sorta di continua attrattiva verso ogni singola proposta del platter. “Revival”, ovvero la traccia d’apertura, è quella più elettronica dove l’ uso degli effetti e delle tastiere è davvero consistente, caratteristica presente anche in altri pezzi come “The Darkest Night” e “Star in Sight”.

Il contributo di Freddy Delirio è stato a dir poco fondamentale. “The Crimson Shrine” e “Dionysus” sono atmosferiche ballate che strizzano l’occhio al Gothic, anche in questo caso la band mostra chiaramente le mille sfaccettature di Resurrection, non tralasciando mai però le salde fondamenta dell’Heavy Metal. Un plauso speciale va alla coppia Freddy Delirio e Glenn Strange che, più di una volta, si rivelano parte fondamentale del disco, ascoltare la cupa e tendenzialmente horror “Ogre’s Lullaby” per rendersene conto. Passiamo ad un altro brano forte del disco di Steve Sylvester, si tratta di “Santa Muerte”, una song aggressiva che sfodera probabilmente i più bei riff dell’intero supporto. Resurrection è un lavoro dai mille volti, la genialità di Mr. Sylvester ne esce alla grande, è facile comprendere l’estro artistico di un artista dalle larghe vedute. Questi Death SS dopo tanti anni sono ancora in grado di sbalordire il pubblico, senza troppi giri di parole sono una vera e propria garanzia del genere in Italia.

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Eudaimony – Futile

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È capitata nel periodo giusto l’uscita di questo disco d’esordio degli Eudaimony, band formatasi a Luglio 2007 da membri già noti nella scena Black Metal svedese e teutonica: Marcus E. Norman chitarrista dei Nalgfar, Matthias Jell ex vocalist dei Dark Fortress, Jorg “Thelemnar” Heemann batterista dei Secrets of the Moon e Peter Honsalek che in serbo ha il progetto Nachtreich. Parlavamo del periodo d’ uscita di Futile, il disco che ha lanciato gli Eudaimony; un inverno freddo, proprio come la musica da loro proposta. È stato fatto un coroso preambolo per questa band e questo lavoro a dir poco disdicevole, si sono create false illusioni gettando solo tanto fumo negli occhi. Futile è un disco che si fa ascoltare senza troppi inceppi, gira liscio indubbiamente ma non è il capolavoro che molti dicevano.

A esser pignoli questo è un platter che sa di poco, che non sai mai se accostare al Black o al Gothic Metal, rivelandosi semplicemente come una via di mezzo tra i due generi, un Symphonic Black Metal che però, con molta onestà non riesco a catalogare neanche in tal modo con esattezza visto che strizza un po’ l’occhio anche al Doom. Cantato per la maggiore in Black, atmosfere Gothic e stordenti riff che farebbero torcere il naso a band come Taake, Mayhem e Celtic Frost, quella degli Edaimony è un proposta trita e ritrita che, se vogliamo, oltretutto potremmo dire eseguita con più efficacia da altre band, come gli October Tide ad  esempio. Nel disco, le tracce che bene o male risaltano rispetto alle altre sono“Mute” con il suo alone sinistro, la title track, la successiva “Portraits” che cambia decisamente i toni rispetto alle altre partendo dal cantato per costruire la melodia e infine c’è “Godforskaen”, una traccia strumentale in  cui le tastiere padroneggiano per buona parte. Insomma Futile non è nulla di eclatante; si lascia ascoltare ma la voglia di farlo girare ancora nello stereo è pochissima.

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