Aagoo Records Tag Archive

What’s up on Bandcamp? [novembre 2023]

Written by Articoli

I consigli di Rockambula dalla piattaforma più amata dalla scena indipendente.
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Settembre ci porterà via con sé

Written by Recensioni

300 secondi o poco più di tanta roba!
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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #12.11.2018

Written by Playlist

Recensioni #02.2018 – Korto / Martin Kohlstedt / Gil Hockman / Cup / Slow Nerve / Vinnie Jonez Band

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #22.01.2018

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‘Chi suona stasera?’ – Guida alla musica live di gennaio 2018

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Depeche Mode, Piers Faccini, Shijo X, Morkobot… Tutti i live da non perdere questo mese secondo Rockambula.

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Lourdes Rebels – Lolita

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Inutili (Music for Addicts) || Intervista

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In occasione dell’uscita del loro nuovo album, Elves, Red Sprites, Blue Jets, ho incontrato Danilo, voce e chitarra della sorprendente band abruzzese Inutili.

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Zulus – II

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Preparatevi per bene. Disponete corpo e mente ad essere calpestati da un’orda di note barbariche pronte a fare razzia di ogni vostro sentimento benevolo, leste a distruggere la vostra serenità d’animo, decise a stuprare le vostre orecchie, devastare il vostro cuore, seminare sul terreno arido delle vostre certezze l’inquietudine pura, la rabbia disillusa e il desiderio malsano di una violenza gratuita. Il sospetto che qualcosa di pericoloso stia per accadere vi sarà sopraggiunto già con la visione della cover, dettagli dell’opera Procne & Philomela di Hazel Lee Santino. Secondo la mitologia greca, Procne era la moglie di Tereo, re della Tracia e sorella di & Philomela. Tereo, innamorato segretamente e non corrisposto di Philomela, la violentò e le taglio la lingua per non permetterle di informare la sorella. Questa ci riuscì comunque e Procne uccise il figlio avuto col re e glielo diede in pasto. Il resto della storia potete trovarvelo da soli. Parte da queste tragiche premesse la band del New Jersey per la realizzazione di II, ovviamente il secondo album dei quattro Aleksander der Prechtl, Daniel Martens, Jeremy Scott e Julian Bennett-Holmes, tutti con alle spalle esperienze di stampo Punk e Hardcore (Battleship, Necking, Teenage Nitewar, Rice, Prsms, Aa, Fiasco, The Homosexuals, Wand). Ironicamente, i quattro yankee dichiarano che il progetto Zulus nasce come un tentativo di formare una pop band da parte di ragazzi che chiaramente non sono in grado di scrivere canzoni pop. Meglio così, perché se già l’esordio omonimo sembrava avere tanto da dire, con la sua dirompente miscela di Gothic e Post Hardcore, il seguito è una conferma piena e una godibilissima variazione sul tema con le sue derive (qui il marchio Aagoo Records è indelebile) Psych Garage. Le chitarre affilate come rasoi, seguono le ritmiche morbose e asfissianti, martellando con loro e generando un Noise Garage dal sapore acido. A condire il tutto la voce malatissima, che sembra sprigionarsi dal cuore nero di un palco sudicio, completamente ricoperto, offuscato, da una nebbia di fumo acre e marcio. Ascoltare II è come assistere all’ultimo delirante grido d’un folle in procinto di ricongiungersi con il signore delle tenebre. II è malessere psichico allo stato puro che prova a darsi una parvenza di lucidità e non fa altro che acuirne il delirio.

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Philippe Petit – Multicoloured Shadows

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Da sempre teso verso la ricerca sonora estrema ma pur sempre legata ai classicismi meno anacronistici, il marsigliese Philippe Petit celebra i suoi trent’anni di attività con un album che si lega inevitabilmente alle esperienze consumate fatte di manipolazione, field recordings e composizione pura ma lo fa, questa volta, con orecchio rivolto maggiormente agli aspetti melodici. Ovvio che chi si è già imbattuto in passato in opere di Philippe Petit, non si aspetterà quel tipo di melodia di facile ascolto caratteristica dell’Elettronica da dance floor più spicciola. I tre brani (il terzo in due distinte parti) che vanno a formare Multicoloured Shadows sono infatti pregni di quella tensione nervosa, evocativa ed eterea cui il francese ci ha abituati; una miriade di riverberi, ritmiche cupe, una miscela di rumore che pare sprigionarsi dai posti più remoti dell’universo, della terra o della nostra mente in preda a sogni/incubi frenetici. Continui controtempi fanno da specchio alla strumentazione classica generando brani dalla struttura precisa ma con un apparente caos di fondo. Un album di Elettronica moderno ma che sembra giunto a noi dal glorioso passato della Berlino dei Sessanta e Settanta, un’opera che mostra, come uno specchio appunto, il suo lato più istintivo e nello stesso tempo la sua veste più celebrale, a seconda del punto di osservazione dell’ascoltatore, un’opera che mostra il compositore transalpino, o meglio la sua musica, in tutte le sue forme, come una danza di ombre, ognuna colorata in modo diverso, ma che insieme formano il dipinto fantastico delle emozioni umane.

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Padna – Alku Toinen (Disco del Mese)

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Nat Hawks è un insegnante d’inglese trentottenne di Brooklyn. Il suo alter ego, Padna, è un eccelso compositore di Elettronica sperimentale che, con questo nuovo lavoro, Alku Toinen, uscito per le sempre più interessanti Aagoo Records e Rev Laboratoires, sceglie, già sotto l’aspetto grafico, un tema inquietante e tragico come quello della cronaca concernente diversi disastri internazionali.

Partendo da questo presupposto, quello che ci si sarebbe aspettati, è un insieme di tracce profondamente oscure, violente, crude e terrificanti. I sette brani proposti da Padna, invece, prendono una strada diversa, più sommessa, claustrofobica e introspettiva, volta a dipingere le note sofferenti che si espandono idealmente nell’attimo esatto in cui il disastro si rende concreto in tutta la sua brutalità, o ancora a evidenziare la luttuosa afflizione dei momenti seguenti all’accaduto. Sotto l’aspetto estetico, Alku Toinen, è una spettacolare miscela tutta strumentale di tradizione e avanguardia, con tratti dal sapore Glitch e Lo Fi, suoni sullo sfondo che presi singolarmente farebbero rabbrividire anche un fan di David Lynch (in “Threating Weather” pare di udire l’urlo di anime pronte a fare il loro ingresso nel regno degli inferi) ma chenello stesso tempo riesce a suonare gradevole senza mirare direttamente alla pura bellezza.

Gli oltre quarantaquattro minuti di Alku Toinen possono racchiudersi tutti nella loro ambivalenza sonica e concettuale, nell’alternarsi e intrecciarsi di note soavi e suoni terribili, nel suo evocare tanto la paura del presente, quanto la malinconia del poi. La catastrofe e il disastro come concetto base dell’opera sono qui raccontati non alla maniera Hollywoodiana di chi scruta da lontano, dall’esterno, pronto a godersi lo spettacolo dell’altrui paura e tribolazione ma dall’interno del cuore e dell’anima di chi è stato parte attiva, più o meno diretta, delle sciagure narrate.

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Lourdes Rebels – Snuff Safari

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La sola visione della fenomenale copertina vintage di Snuff Safari è capace di evocare suggestioni fuori dal tempo anche se ben collocabili in uno spazio circoscritto. Un po’ la stessa cosa che accade con le pellicole di Quentin Tarantino, specie nelle sue produzioni estreme come Grindhouse o Machete. Se osate anche voltare e sbirciare il retro non saprete più a quali convinzioni aggrapparvi di fronte al primo piano di un cavallo dall’occhio turbato. Superata la destabilizzazione emotiva innescata dalla contemplazione dell’artwork, opera di Luigi Bonora, l’unica via di scampo per la nostra serenità d’animo parrebbe essere l’ascolto ma riconosceremo presto che questa strada è solo un altro contorcersi nella follia.

Dietro il nome Lourdes Rebels si cela il duo parmigiano concepito dallo stesso Bonora e da Rodolfo Villani. Partendo dal progetto solista di Bonora per poi divenire coppia a nome Milkane e Fuck-hyrya, nel 2012 giungono all’attuale Lourdes Rebels, nome ispirato dai letterati francesi Huysmans e Zola (del primo si ricordi Le Folle di Lourdes e del secondo Viaggio a Lourdes) e dal film Lourdes di Jessica Hausner. La conseguenza di questa nuova fusione tra le due menti e del loro lavoro Electronic Freak è appunto Snuff Safari, opera musicalmente sarcastica in due tempi e sette brani la quale mette insieme schiamazzi animaleschi come i ruggiti suggeriti dalla cover, suoni retrò, ritmiche e melodie psichedeliche, voci confuse e lontane che solo raramente accennano veri canonici canti; e poi tastiere distorte, sampler, chitarre elettriche, drum machine e microfoni filtrati, tutto a costruire un sound soffuso e caotico che, pur dando l’idea di echeggiare da una realtà parallela, celebra in maniera decisa atmosfere orientali ed esotiche.

Una sorta di pastiche mistico e sensuale che, per certi versi, si lega all’ultima opera dei C’mon Tigre e che riconduce alla parte spirituale ricordata dalla citazione cattolica nel nome stesso della band. Tuttavia, l’aura trascendentale è essa stessa avvolta in un’ironia granitica e brutale, svelata del resto anche da quel termine, Rebels, che da un lato sbeffeggia simpaticamente gli amici Abraxas Rebels e le gang motociclistiche anni Settanta, dall’altro fa riferimento alle “condizioni di ribelle” in cui si trova un credente nei miracoli “all’interno della nostra società capitalistica e liberale”. Snuff Safari è opera complessa nella forma e nella sostanza, sperimentale e di difficile collocazione ma nello stesso tempo è in grado di concedersi con facilità a un ascolto più leggero, grazie alla capacità di generare situazioni soniche alternativamente distensive e veementi. Un biglietto da visita a prima vista indistinto in un vortice di colori e per questo affascinante per tutto il fertile mondo dell’Elettronica sperimentale italiana.

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