2016 Tag Archive

Noirêve – Hesminè [STREAMING]

Written by Anteprime

La seconda release della talentuosa produttrice Noirêve è in uscita per INRI, un EP all’insegna delle collaborazioni e di una ricerca sonora che inscrive elementi propri del pop e della forma canzone nell’universo dell’elettronica downtempo, aspirando a un lavoro internamente coerente.

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Recensioni #02.2017 – Ryan Adams / Poomse / Montauk / Gravitysays_i / The Great Saunites / O.O.P.Art. / Human Colonies

Written by Recensioni

10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #17.02.2017

Written by Playlist

Mantovani – La Corsa all’Oro [VIDEOCLIP]

Written by Anteprime

In anteprima esclusiva per Rockambula, ecco il videoclip di “La Corsa all’Oro”, nuovo estratto da Sogni Lucidi, l’album di Mantovani uscito a novembre 2016.

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Cass McCombs @ Monk Club, Roma | 09.02.2017

Written by Live Report

Giovedì sera. Mentre percorro Via di Portonaccio rivolgo un pensiero a quella fetta di connazionali (grandicella, ad onor di cronaca) piazzati già da un’ora davanti alla tv, a sciropparsi la terza serata del Festival di Sanremo, quella in cui i cantanti in gara tralasciano i propri brani per farne a pezzi alcuni altrui.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #27.01.2017

Written by Playlist

Mary in June, il videoclip di “Confini” e il live al Garbage Live Club

Written by Live Report, Novità

Esce oggi Confini, il nuovo videoclip dei Mary in June, il terzo estratto da Tuffo, l’album della band romana uscito nel 2016 per V4V Records, a conti fatti tra i lavori più interessanti che abbiamo ascoltato lo scorso anno.

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Matt Elliott @ sPAZIO211, Torino 16/12/2016

Written by Live Report

Nonostante qualche linea di una febbre che già sento esploderà nelle prossime ore ed una debolezza fisica per la quale faccio veramente fatica anche a star seduto raggiungo, con largo anticipo ed in compagnia di due amici, anche loro non al top della condizione (alè!), lo Spazio 211 per il concerto di Matt Elliott sentendomi comunque pronto per ricevere il profondo abbraccio del ragazzone di Bristol.
Siamo già dentro da un pezzo quando, dopo vari ripensamenti, mi convinco che stasera in queste condizioni non posso bere birra ed opto dunque per un whisky che spero mi ripulisca un po’. Proprio quando mi avvio al bar, mentre Matt chiacchiera amabilmente con un gruppetto di ragazzi, sale sul palco la formazione di casa che stasera aprirà la serata: The Spell of Ducks. La band propone un Folk piuttosto Irish che, escluso il pezzo conclusivo, risulta fin troppo allegro per precedere la malinconia di Elliott e sinceramente non cattura la mia attenzione. Diciamo che in queste condizioni fisiche e con un bicchiere di triplo distillato in mano avrei indubbiamente preferito delle songs più drinking ed howling, che comunque arriveranno di lì a poco, ma c’è da dire che una buona fetta di pubblico apprezza e risponde con entusiasmo alla proposta del quintetto di Torino e non manca nemmeno qualcuno che balla divertito. Il loro live dura poco meno di mezz’ora e passate da poco le 23, Matt Ellliott può fare il suo ingresso sul palco.

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Ahinoi, anche il Nostro non se la passa benissimo ed oltre che dalla sua chitarra, sul palco, è accompagnato da un bicchiere di whisky (stasera una scelta di molti fedeli alla medicina alternativa). “My voice is broken” dice Matt, che per questa voce che non va si scuserà più volte durante l’esibizione ma, in realtà, grazie al suo grande cuore ed alla sua innata intensità nonostante qualche imperfezione il live risulterà comunque di buonissimo livello. E così, sin dall’iniziale dolorosa bellezza di “The Right to Cry”, nonostante qualche problemino effettivamente ci sia, vedremo immediatamente cadere quel velo che separa l’artista sul palco dal pubblico. Matt Elliott ha questo dono, ti sbatte in faccia il dolore in modo così profondo e sincero e subito, con incredibile facilità, ti raggiunge il cuore. Ti sbatte in faccia il dolore e cadono i veli, crollano i palchi, si placano le tempeste, e quel dolore diviene quasi una speranza, mite ed intimamente condivisa. A questo punto non siamo più allo Spazio 211, ognuno si trova dove meglio crede di viversi questo live che vedrà arrivare, tra le altre, la grandissima profondità di “I Put a Spell on You” brano firmato da Screamin’ Jay Hawkins ed interpretato da molti, Nina Simone in primis, che Elliott ha ormai fatto suo dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, la sua enorme sensibilità musicale facendolo diventare più popolare (nel senso migliore che il termina conosca) e se possibile, grazie al suo cupo spleen, ancora più intenso. Altro momento penetrante giungerà con “The Kursk”, straziante elegia che il Nostro dal vivo dilata ulteriormente. Questo gioiello di disperazione con le sue note cariche di significato e le splendide stratificazioni di suono e voce tracimanti afflizione è ormai un appuntamento fisso dei live di Elliott e vedendoglielo interpretare è facile capire perché. Gli occhi di Matt saranno chiusi per quasi l’intera durata di ogni pezzo, la concentrazione per raggiungere il miglior climax possibile risulterà sempre altissima, solo tra un brano e l’altro li aprirà guardandoci sorridente e continuando a scusarsi e ringraziarci.

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Non mancheranno ovviamente brani dall’ultimo The Calm Before. “I Only Wanted to Give You Everything” sarà purtroppo il brano che stasera perderà di più nelle stratificazioni vocali ed alla loro conclusione, con il ritorno alla parte strumentale che non risulterà perfetto. Ho come l’impressione che se ne accorga lo stesso Elliott, tant’è che il brano dura un buon paio di minuti meno che su disco venendo tagliato di buona parte del finale strumentale, un po’ insolito per un artista che solitamente dal vivo i brani li espande. Spero di aver presto una nuova occasione per sentire dal vivo questa perla con un Matt più in salute. “The Calm Before” risulterà invece assolutamente perfetta, il cantato più disteso in quest’occasione aiuta lo chansonnier che su questo pezzo regala un’esecuzione veramente sentita ed elegantissima. La tripletta dall’ultima fatica verrà chiusa dal singolo “Wings & Crown”, col quale terminerà anche questa ricchissima parte di set, il rigoglioso Flamenco che inevitabilmente col solo Elliott sul palco risulta più misurato si rivela comunque non meno piacevole e incendiario. Dopo una brevissima pausa il Nostro tornerà sul palco per concludere, dopo quasi due ore di concerto (generosità incredibile vista la condizione non ottimale), con il Folk greco-turco di “Misirlou”, reso celebre da Pulp Fiction e con l’intensa “Also Ran” brano tranquillamente rabbioso, persino etereo, ancor più se spogliato quasi completamente della sua parte elettronica. Un degno finale di un concerto sicuramente meno perfetto che in altre occasioni ma comunque non meno incantevole.

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Potrà anche avere problemi vocali ma Elliott, distillando alla sua maniera Folk, Flamenco, Songwriting e quant’altro regala sempre quella sensazione di intimità ed abbandono tipiche delle sue esibizioni. La sua capacità di raggiungere incredibili picchi di pathos, analizzando anime e cuori che cadono a pezzi e creando meraviglie partendo dalla sofferenza, nasce dall’innata capacità di trasmettere in modo raffinato e sincero i propri abissi interiori, aprendo a tutti, con estrema naturalezza, le immense stanze della propria memoria, personale e storica. Questo lo ha portato ad essere uno dei maggiori comunicatori musicali dei nostri giorni, musicista eccelso che sul palco trova la sua più profonda ragion d’essere. Insomma, nonostante i problemi alla voce (a causa dei quali le prossime date vedranno il suo set dividersi tra Matt Elliott e Third Eye Foundation, sicuramente non un grosso problema per chi lo ama), anche questa volta non possiamo che ringraziare l’umile e fiero Matt ed andarcene a casa felici e malati.

Questa la scaletta della serata:

“The Right to Cry”
“Zugzwang”
“I Put a Spell on You”
“Il Galeone”
“I Only Wanted to Give You Everything” 
“The Calm Before”
“Wings & Crown”
Encore:
“Misirlou”
“Also Ran”

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Kick – Mothers

Written by Recensioni

Concept d’esordio per il duo bresciano che prova a scandagliare le sofferenze umane nate dal contrasto tra natura e società contemporanea, da quello spazio in cui l’uomo può sentirsi animale libero e la gabbia nella quale è quotidianamente rinchiuso. Riflessioni che arrivano a una conclusione, una soluzione banale. La via di fuga da questa gabbia è l’amore in ogni sua forma e non poteva che esserci una soluzione tanto semplicistica a una questione tanto inflazionata. Lasciando da parte l’aspetto speculativo, sotto quello musicale i Kick prendono a prestito tanti dei suoni che hanno fatto la fortuna del Trip Hop e del Bristol Sound, cercando disperatamente “rumore” personale che fatica a farsi sentire. Il primo j’accuse già nell’intro in cui note nostalgiche introducono il tema del lavoro e della burocrazia spersonalizzante solo attraverso la musica. Tali temi critici sono costantemente alternati a momenti di “luce”, come nella successiva “Vision”, inno alla natura e all’amore. Non mancano brani tratti da terribili fatti di cronaca (“Magick”), metafore per raccontare l’amore umano (“Merry Go Round”) e raccontarne gli aspetti più disperati (“House of Glass”, “Dead End”), citazionismo (“Solitary States”), riferimenti a luoghi magici di questa terra (“Land!”), veri e propri elogi alla vita personificata nel sole (“King Sun”), omaggi personali a persone scomparse (“March”) fino alla conclusiva “Human Error” in cui si palesa la speranza di creazione di un mondo nuovo previa distruzione di quello attuale.

Per tornare al tema portante dell’opera, c’è troppa confusione in questo Mothers, con l’amore visto come unica via di salvezza ma poi raccontato anche come causa primaria di sofferenza ma non è certo questo il grosso limite di un album che non manca solo di talento compositivo ed esecutivo, e per talento s’intenda qualcosa in più della semplice destrezza al canto e alla composizione/esecuzione, ma anche di originalità, idee vere, scelte indovinate di suoni e melodie. Un disco che scivola via senza troppo entusiasmo, totalmente incapace di rapire, sotto qualunque aspetto si voglia considerare. E questa volta, la soluzione non può essere semplicemente l’amore.

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Barachetti / Ruggeri – White Out

Written by Recensioni

White Out è un concept sul “male di testa”, un male fisico e psicologico che colpisce e porta al declino la società occidentale a causa dal suo vivere alienante dovuto alla scelta di sposare le volontà del capitalismo, portatore, con i suoi eccessi e con le sue gravi e conseguenti mancanze, di quello che risulta essere a tutti gli effetti un angosciante dolore esistenziale. Un male che presentandosi come un miglioramento risulta paradossale, un male che può sedurre e che ci ha sedotti nonostante l’evidente abuso, per altro privo di contenuti, della propria influenza da parte di poche, ma importanti e ricche, persone-società. Un male che sfocia nella perdita e nel delirio della realtà interiore e che viene ottimamente descritto dall’album firmato da Luca Barachetti (ex Bancale) ed Enrico Ruggeri (ex Hogwash) al loro debutto con questo progetto.
I due hanno unito le loro forze per dare vita a 12 canzoni-non-canzoni nelle quali l’alienazione della nostra epoca è tradotta in musica e parole attraverso i poetici testi di Barachetti ed il suo spoken infingardo che mette in collisione patologia e creatività in un’introspezione dove la parola, ora descrittiva ora cronachistica, nella percezione del presente disagio lavora in perfetta simbiosi col corpo e con l’inconscio che manifestano le proprie pulsioni attraverso le trame sonore realizzate da macchine analogiche, strumenti autocostruiti e strumenti tradizionali suonati in modo non convenzionale di Ruggeri. Ne viene fuori un disco per certi versi avanguardistico che a seconda dei momenti potrà farci pensare a La Monte Young o ad Eliane Radigue come a Fennesz, un disco capace di risultare futuristico come primordiale descrivendoci questo dolore ancora troppo sottovalutato tra minimalismi, cacofonie, distorsioni elettroniche, droni e percussività più o meno industriali di ogni sorta.

White Out è dunque un album indubbiamente politico che scava lentamente la solitudine ed il male dei nostri tempi affascinando sin dall’iniziale sussurro dai suoi suoni spettrali e atonali di “Dolore Bianco” cui segue la percussività deviata di “Corpo Occidentale”, dove ogni cosa prodotta è cosa desiderata ed il desiderio stesso, avendo ampiamente superato la sua capacità di tolleranza, risulta essere un sentimento ormai sepolto (desiderio fisico compreso). Ottimi momenti, in un disco dove si potrebbe tranquillamente segnalare ogni singolo brano, sono la ninna nanna dall’andatura Minimal ma tecnoide della title-track, l’amara ironia di “Panda Psichico”, centrata sui ritmi che questo grande Nulla ci costringe a seguire e sul cedimento fisico e mentale che ne consegue, o ancora l’opprimente incontro/scontro tra ragionevolezza e follia di “Macula” (titolo ripreso da una poesia di Paul Celan, a cui il brano è dedicato) ed i cerebrali battiti della straniante ballata “Pulsa”, mantrica e ferrettiana, che ci porta a periodi storici oscuri nei quali era ancora tuttavia possibile intravedere una rifioritura.

Ma White Out è anche speranza, voglia di rivincita, voglia di riprendersi la propria vita e dei 12 brani che lo formano 4 sono “analgesici”. Si tratta di 4 tentativi di salvezza in cui l’umano, fin qui più o meno forzatamente complice della situazione ma in ogni caso disumanizzato, entra in conflitto con sé stesso. “Uomo Scritturato” è ad esempio un invito (al mondo dell’arte ma non solo) a tuffarsi dentro una realtà da rivedere e da riscrivere con onestà e profonda partecipazione partorito dopo dopo aver assistito ad uno spettacolo di Alessandro Bergonzoni. Ma è in “Cretto del Vero” che il tentativo di guarigione si fa ancor più evidente; il brano, indirizzandoci al terremoto del Belice (il pezzo è dedicato ad Alberto Bucci autore del Cretto di Burri di Gibellina, opera sorta in memoria del paese raso al suolo cementificando le macerie in modo da ripercorrerne le strade), dona inizialmente una sensazione di rottura sottolineata dai versi di Barachetti per poi giungere ad una cassa dritta che regala la sensazione di una netta ed improvvisa presa di coscienza accompagnata da una speranza tanto utopica quanto sentita (attendi un glicine, una vertigine che colmi di ritorni e ritorni queste venature di vuoti). Si conclude con l’apocalittica genialità di “Fiume Verticale” brano dove più che mai le parole prendono vita attraverso una reazione che rappresenta l’atto salvifico ultimo; il prendere coscienza del dolore dell’esistenza e tramite esso combattere quello del vuoto esistenziale, per quanto il rischio di ritrovarsi domani ancora una volta riassorbiti e vittime di quell’iniziale dolore bianco (così descritto dal duo nella cartella stampa: ciò che ci lascia il presente è una passione senza resurrezione che il giorno seguente scompare, ma ritornerà. Nel sepolcro su cui è inciso il nostro nome noi non ci siamo) coi tempi che corrono, ahinoi, non si possa escludere.

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Susanna Stivali @ Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara 15/12/2016 [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Voce, elettronica, improvvisazione e interazione con il pubblico: sono questi gli ingredienti del concerto che Susanna Stivali ci ha proposto nella suggestiva cornice del Bagno Borbonico del Museo delle Genti d’Abruzzo nel penultimo appuntamento di “Solo al Museo”: canzoni appartenenti a differenti mondi e stili musicali come pretesto per un viaggio attraverso le diverse possibilità e sfumature che lo strumento voce porta con sé, narrazione, invenzioni sonore, propulsione. Il Jazz inteso come luogo dell’improvvisazione è il punto di partenza di un percorso che arriva fino alle melodie popolari della tradizione italiana, al Folk e al Pop.

Susanna Stivali si è imposta negli ultimi anni come uno dei nuovi nomi del Jazz italiano. Si è esibita in importanti festival in Italia e all’estero, come Umbria Jazz Winter, Baronissi Jazz e l’International Folk Music Festival di Boston, e ha collaborato con artisti del calibro di Lee Konitz, Miriam Makeba, Chico Buarque De Hollanda, Fred Hersch, Jaques Morelembaun, Aaron Goldberg e Rita Marcotulli.

[foto di Antonello Campanelli]

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #16.12.2016

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