2014 Tag Archive

Bombay Bicycle Club – So Long, See You Tomorrow

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Se So Long, See You Tomorrow fosse una città sarebbe Istanbul.
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Dente – L’Almanacco del Giorno Prima

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Me la ricordo bene la mia prima volta con Dente. È stata durante una sessione d’esami estiva, di quelle che ti tolgono il sonno e l’appetito, e ti riducono a un’insignificante particella subatomica immersa nell’immane grandezza dell’universo. È stato un ascolto casuale, di quelli che arrivano e ti trafiggono alle spalle, mentre ignaro ti aggiri nei labirinti della tua esistenza, convinto di essere immune a certe manifestazioni emotive. Parole che ho cancellato dal vocabolario ce ne sono una dozzina o anche di più. Ho cominciato da quelle che, si sa, son delle bugie. Come per sempre che, fondamentalmente, è uguale a mai. Un modo scanzonato di affrontare la vita, accompagnando l’ironia delle parole con il suono della chitarra, a volte del piano; non mi serviva altro per sorridere quel giorno. Ed è così che ho conosciuto L’Amore Non È Bello. Un’affermazione che nell’immaginario collettivo presuppone l’esistenza di un seguito: l’amore non è bello se…, ma che in questo caso non esiste. L’amore non è bello. Punto e basta. Chi ha bisogno di un se vada a cercarselo altrove. E da lì in poi sono andata a ritroso, verso l’ascolto di Non c’è Due Senza te ed Anice in Bocca, dal sound più primitivo, essenziale, ma sufficiente ad accompagnare parole di una schiettezza ancora una volta disarmante. Io Tra di Noi rappresenta invece una svolta musicalmente parlando; gli arrangiamenti si fanno più completi grazie all’introduzione di archi e fiati, si osa con qualche suono elettronico.

Dopo quasi tre anni da Io Tra di Noi arriva L’Almanacco del Giorno Prima. Il titolo si riferisce palesemente alla trasmissione televisiva l’Almanacco del Giorno Dopo, con la variante della parola prima a continuare la tradizione del gioco di parole nel titolo dell’album.  Anche il disco, come il titolo, si conferma in pieno stile dentesco: brani caratterizzati da una forte malinconia, la predilezione per tematiche riguardanti amori quasi esclusivamente infelici (teoria confermata dallo stesso Dente), il tutto contornato da arrangiamenti molto ben curati, merito anche della collaborazione di  Enrico Gabrielli (Calibro 35) e Rodrigo D’Erasmo (Afterhours). Sembrerebbe che ci sia proprio tutto in questo disco, ed invece la grande assente è proprio l’emozione, e scusate se è poco. Brani come “Chiuso dall’Interno”, “Invece Tu” e “Miracoli”, sono piacevoli all’ascolto, ma vanno via veloci, senza lasciare molte tracce dopo il loro passaggio, senza farsi troppo notare. Qualcosa comincia a muoversi con “Fatti Viva”, dal ritmo quasi ossessivo di sottofondo, che introduce il suono del clavicembalo capace di portare chi ascolta in epoche remote. Sulla stessa scia si sviluppa anche “Fiore Sulla Luna”, ma perde di intensità rispetto alla precedente. Altra presenza non così scontata è il suono delle chitarre elettriche; non aspettatevi assoli da capogiro, ma piuttosto piccole comparse in canzoni come “Al Manakh”. Per “Meglio Degli Dei”, “I Miei Pensieri e Viceversa” e “Remedios Maria” a chiusura del  disco vale lo stesso discorso dei brani di partenza: si fanno ascoltare piacevolmente, ma vanno via veloci. Il tempo rimane tempo che scorre e basta, e non si dilata come a volte succede quando si ascolta musica.

L’Almanacco del Giorno Prima è senz’altro un buon disco, ben costruito, molto ben arrangiato, molto radiofonico se vogliamo, migliore di molta altra musica che si sente abitualmente in radio, ma a mio avviso non aggiunge niente rispetto alle produzioni passate di Dente, anzi, si priva di quella autenticità che contraddistingueva i testi e di quella straziante ironia che si riduce ad una ricerca forzata di giochi di parole che però non mi fanno più sorridere. Lascio ad animi più nobili del mio il compito di emozionarsi di fronte a parole come chi non muore si ripete, chi non vuole non si vede più. Io ci vedo solo la citazione di un proverbio e nulla di più. Aspetterò i live per poter sorridere ancora, sperando che Dente non abbia deciso di ammazzare la sua ironia anche sul palco.

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Le Fate Sono Morte – La Nostra Piccola Rivoluzione

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Non saprei se farne un problema generazionale. Ma sicuramente il decennio 90 ha lasciato qualche suo residuo anche sulla mia pelle. Il suono della decadenza e dei muri sgretolati, delle incertezze, delle grida di rabbia, di oppressione. Un suono da cui difficilmente si scappa se sparavi Alice In Chains nelle cuffie del walkman, a testa bassa e sulla via del liceo. Questo scenario è infatti ritratto alla perfezione nel primo LP dei milanesi Le Fate Sono Morte. Combo Rock dal 2008, capitanato dalla attraente e dimessa voce di Andrea Di Lago. La setlist è proprio un esemplare preciso dei pezzi scritti in solitaria seduti per terra nella stanza da letto a macinare arpeggi, ritmiche nervose e testi di confusione e sorda ribellione. La musica è avvolta da una fitta nebbia già nei primi versi della ballata “A Parte il Freddo” dove il violino deciso di Daniele Pezzoni rimanda senza mezze misure agli Afterhours più melodici e diretti. “Ipnotica” e “Arriva la Neve” danno invece una sferzata più americana, con un Grunge classico e grintoso dove però la sezione ritmica (colpa forse di alcune timide scelte in fase di registrazione) non spinge abbastanza, non dando il giusto groove a due pezzi che meritano comunque di essere considerati un buon esemplare di Rock all’italiana. La voce di Di Lago è espressiva, graffiante, sofferta ma poco dinamica e pecca in monotonia. In ogni caso rimane una splendida timbrica, di quelle che riconosci alla primo verso che esce dall’ugola.

Grande pecca il singolo “È già Settembre”. Non rende proprio giustizia all’intero album, ritmica di chitarra e testo banalotti. Sicuramente non un’ottima scelta per rappresentare un disco che ha perle di maggior splendore, sebbene un grosso nuvolone sembra sempre contornare il suono delle Fate. Ben più ispirata “Anime Artificiali”, con una bella lirica di sentimenti ammaccati: semplice ma d’effetto la frase “a Milano l’amore è un’illusione, tu non scordarmi mai. Sei il fiore nel mio burrone, quando non ci sei”. Nel finale troviamo ancora spazio per una stanca e depressiva “Senza Pace”, dove spicca solamente il bel suono di basso distorto, costante e presente, poi per ultima arriva “Niente (nondiventeremoniente)”, finalmente un pezzo sui generis dove la voce quasi parlata dona intensità e spessore a un dinamico tappeto Post Rock degno dei migliori Massimo Volume. Non saprei dire se la nebbia si alzi o si abbassi, ma almeno si muove e non rimane anonima a mezz’aria. Ed è di movimento che questo gruppo ha bisogno. Attendiamo la prossima prova speranzosi di vederci qualcosa di più. O di meno.

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Cosmic Box – Last Broadcasting Station

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Un motto è una frase che descrive le intenzioni o le motivazioni di un gruppo; per i Ferraresi Cosmic Box le magiche parole sono anche il titolo del loro primo EP uscito nel 2010, Not Better, Simply Different. Dopo quattro anni da questa dichiarazione d’intenti  è arrivato il momento per loro di ributtarsi nella mischia con un nuovo lavoro L.B.S., Last Broadcasting Station. La domanda spontanea è: “saranno ancora i fieri rappresentanti di quelle quattro parole?”. Discograficamente parlando quattro anni non sono pochi e L.B.S. è un album più maturo e ricercato. Non spaventatevi, non ascolterete una versione ammuffita e decrepita dei Cosmic Box ma dieci brani sanguigni e d’impatto, che scorrono velocemente. Al primo ascolto si percepisce subito la distanza rispetto al lavoro precedente. Le novità che il quintetto ferrarese ha adottato sono varie e molteplici sia a livello tecnico sia di songwriting: la presenza di assoli musicali che danno corposità e spessore a brani come “Trough Skin & Bones”e “The Daily Work”, ritmi rallentati che esaltano le suggestioni come in “All the Things You Cannot Hide”, e una vera e propria ballad, nell’accezione più classica del termine, dalle atmosfere rarefatte e dal titolo criptico “66”.

Tutte queste innovazioni sul lato della composizione confluiscono in un generale cambiamento di fuso orario, che da un sound marcatamente ispirato all’immaginario British si sposta verso influenze a stelle e strisce, Incubus, Pearl Jam, The Strokes, Foo Fighters solo per citarne alcuni. La stessa voce del cantante Andrea Gnani ricorda molto nel timbro e nell’uso quella del poliedrico Brandon Boyd, in memoria, forse, del loro passato da cover band. Nonostante i cambiamenti i Cosmic Box non rinnegano completamente le proprie radici e includono nell’album anche brani come “New Way Home” e “Don’t Move”, in stretta sintonia col passato, dove chitarre distorte e batteria decisa ed essenziale dettano le regole del gioco, creando quell’allure rock anni 90 che, sebbene semplice nella melodia, garantisce una certa resa d’impatto. Tirando le somme, L.B.S.  è un disco che musicalmente rende bene e ha quel gusto internazionale che consente al quintetto di rompere gli argini della bassa pianura emiliana. La stessa operazione viene replicata anche sul piano testuale, esulando dagli standard produttivi di molti artisti italiani, che si ostinano a scrivere in una lingua che non gli appartiene. Insomma un disco da ascoltare e magari consigliare per una serata tra amici, che in queste righe ha ricevuto molti punti , ma che però è colpevole di un solo grande peccato: la mancanza di originalità e distanza rispetto ai propri modelli musicali. Andrea a compagni, probabilmente, in questo nuovo capitolo dovrebbero cambiare il loro motto in better, not so different.

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Nebelung – Palingenesis

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Inutile contestare che ci siano forti legami, anche solo iconografici, tra l’ideologia nazifascista e la musica Neo Folk; cosa manifesta. anche se ricca di robuste contraddizioni nei capiscuola Death in June ma che si smaschera, secondo le più disparate fattezze, in ognuna delle tante formazioni che setacciano il genere. Non sempre si tratta di un’affinità di stampo politico e neanche è ineluttabilmente da connettere alle amenità razziste o violente e dittatoriali ma, nella gran parte dei casi, musica, stile ed estetica si uniscono a un’iconografia tipicamente nordeuropea, fatta di rune, religioni naturali, spiritualismo, decadenza e rinascita dell’Occidente, paganesimo, naturismo. Non a caso la musica ordinariamente detta Neo Folk o Dark Folk impiega ritmiche marziali e melodie che rievocano le atmosfere lugubri di città devastate dalla guerra. Composizioni che hanno il sapore di decenni mai vissuti da noi giovani eppure ben scolpiti nella memoria. Non a caso, evidentemente, i tedeschi Nebelung scelgono il vocabolo greco Palingenesis per dare titolo al loro nuovo full length. Palingenesi come rinnovamento, rinascita, rigenerazione ma non a caso è la stessa locuzione che Roger Griffin, nel suo libro The Nature of Fascism, utilizza per indicare un elemento centrale delle ideologie fasciste, descritto come “il nucleo mitico dell’ideologia fascista.

Nulla è per caso eppure non ci sogneremmo mai di accostare con fare denigratorio o accusatorio la musica dei Nebelung alla più devastante e mortalmente adescatrice dottrina mai concepita da essere umano. La proposta del duo teutonico è prettamente strumentale e quindi non vi è alcun testo e nessun proclama che inneggi in maniera palese a teorie di stampo nazifascista. Non ci sono ritmiche e suoni di chiara matrice marziale che possano in qualche modo ricondurre a temi di natura bellica. Si tratta solo di sei piccole gemme Neo Folk, tutte basate su una strumentazione orchestrale disparata ma essenziale, su melodie semplici, se volete anche ossessive e ripetitive ma dallo straordinario impatto emotivo. Mantra diluiti e dilatati che scavano nell’animo umano, attraverso suoni densi ma puri, realizzati grazie a chitarre, cello, accordion, arpa, percussioni, voci spettrali e tanto altro.

Folk Rock di stampo nordeuropeo che non disdegna momenti di pura ostentazione No Wave e Gothic (“Mittwinter”) e nello stesso tempo riesce a svilupparsi anche attraverso le strade del più lancinante Post Rock (“Wandlung”). Un disco che mira dritto alla parte ancestrale dell’animo umano, scava nella sua memoria, nel suo essere, attraverso l’evocazione di atmosfere eteree ma inquietanti, rilassanti eppure struggenti. Un piccolo gioiello Dark Folk che non raggiunge le vette stilistiche di Tenhi o Vàli, di Ulver o Forseti ma che può piazzarsi nella lista delle uscite più interessanti del genere, con la speranza che, magari, anche i non fanatici neofolker possano accorgersi di Palingenesis cosi come di tutti quei piccoli capolavori d’occidente. Non è un caso che Palingenesis sia un buonissimo disco.

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Ecco le nuove uscite più attese del 2014!!! Prendete carta e penna…

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Evitando di farci prendere da facili entusiasmi, dai nostri desideri e di farci trascinare nel vortice delle “voci di corridoio”, cerchiamo di fare il punto su quelle che saranno solo alcune delle uscite più interessanti previste per il 2014, sia album che singoli ed Ep.  Dopo due anni o poco meno tornano i Maximo Park con il nuovo album Too Much Information in uscita a febbraio, insieme ai Tinariwen con Emmaar, a The Notwist e a St. Vincent. Ci sarà da aspettare molto meno invece per Metallica e il loro film documentario Through the Never e il nuovo full length Pontiak, INNOCENCE (28 gennaio), cosi come per il grande Mike Oldfield che dopo il non entusiasmante remix del suo capolavoro torna con Man on the Rocks (27 gennaio). Tra le tante raccolte che ci accompagneranno, da non perdere Original Album Series (24 gennaio) di Kevin Ayers e The Beatles con The U.S. Albums (21 gennaio).

Ci attende una svolta stilistica non indifferente e che non vogliamo anticiparvi, nel nuovo Alcest mentre segnatevi da qualche parte la data del 21 gennaio perché in uscita c’è il nuovo Ep di Glenn Branca, Lesson No. 1. Ci sarà non troppo da aspettare anche per vedere e leggere la recensione di Rave Tapes dei Mogwai mentre gli amanti dell’Idm si preparino al nuovo singolo targato Moderat cosi come i fanatici Ambient non dovranno aspettare molto per ascoltare  bvdub, già uscito nel 2013 (in coppia con Loscil) e prontissimo con un nuovo lavoro. Poche aspettative (eppure siamo molto curiosi) per il nuovo dei folli giapponesi Polysics, Action!!! (15 gennaio) mentre molte di più sono quelle per i Sunn O))) (che usciranno, quest’anno anche con Terrestrials, insieme agli Ulver) LA Reh 012 (13 gennaio). Per i fan più accaniti, annunciamo anche l’imminente uscita di Bruce Springsteen con High Hopes (10 gennaio) mentre proprio da due giorni è disponibile uno dei lavori più attesi, da noi amanti del Neo-Gaze, Cannibal singolo dei Silversun Pickups. Quasi dimenticavo anche l’ex Pavement, Stephen Malkmus & The Jicks con l’album Wig Out at Jagbags e poi Present Tense dei Wild Beasts.

Lasciamo per un attimo il panorama internazionale e guardiamo che succederà in casa nostra. Dente con Almanacco del Giorno Prima è pronto per gennaio. Con lui anche i Farglow, Meteor Remotes e gli Hysterical Sublime con Colours Ep. Tornano i Linea77 e speriamo che C’Eravamo Tanto Armati ne possa risollevare almeno un po’ le sorti. Quasi certa la prossima uscita per la ristampa di Da Qui dei Massimo Volume. Tra i lavori italiani più attesi non può mancare L’Amore Finché Dura, dei Non Voglio Che Clara mentre penso che si potrà fare a meno di ascoltare Omar Pedrini e il suo ultimo Che ci Vado a Fare a Londra, anche se un minuto di attenzione non si nega a nessuno. Paolo Fresu è in uscita con Vino Dentro mentre farà parlare, sparlare e litigare Canzoni Contro la Natura degli Zen Circus cosi come Brunori Sas e il suo Vol.3, Il Cammino di Santiago in Taxi. Nel frattempo ho già iniziato l’ascolto di Uno Bianca, il concept album di Bologna Violenta, in uscita il prossimo 24 febbraio.

Mettiamo da parte le uscite certe per questi primi mesi dell’anno e diamo ora uno sguardo più lontano nel tempo. Pare che Damon Albarn, leader di Blur e Gorillaz sia pronto per un album solista ma molto più atteso, almeno per quanto mi riguarda, è il nuovo album degli Have a Nice Life. Poi sarà certamente l’anno del nuovo U2, dei Foo Fighters e di Lana del Ray. Sale l’attesa per il nuovo di Beck, la cui uscita sembra quasi certa per il finire di febbraio, mentre ancora tutto da chiarire per quanto riguarda le nuove fatiche di Tool, Pharrell, Frank Ocean, Mastodon, Burial, Giorgio Moroder, Brody Dalle, Cloud Nothings, Flying Lotus, Grimes e The Kills.

Io mi segno almeno una decina di nomi, per gli altri vedremo. Nel frattempo speriamo che il 2014 ci regali qualche sorpresa in più rispetto a queste anticipazioni perché i nomi, nel complesso, non lasciano certo sperare in un’annata da ricordare. Comunque, ci sono sempre gli esordienti, magari ancora sconosciuti, da tenere in considerazione. Saranno loro a farci sognare, non ne dubito.

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