Sugar for your Lips

Written by Interviste

Giovanissimi e carichi nella maniera giusta i quattro ragazzi di Cosenza hanno tutte le carte in regola per farci emozionare con il loro Alternative Rock (sporco alla maniera del Punk) influenzato dai mostri sacri Foo Fighters, Radiohead e tanti altri. Li ha intervistati per Rockambula Webzine il nostro capo redattore, Silvio “Don” Pizzica e quello che ne viene fuori è una chiacchierata onesta, interessante e che speriamo, tra qualche anno, si possa leggere come il preludio di una grande band. Tutto sta alla loro capacità di imparare dai propri stessi errori.

Ciao ragazzi. Sugar for your Lips; una formazione giovanissima e ancora tutta da scoprire. Iniziamo con le presentazioni. Chi sono gli Sugar for your Lips?

Ciao Silvio! Bene, come hai detto, siamo una formazione molto giovane che cerca di farsi strada in questo settore, anche se col passare del tempo stiamo anche noi collezionando le nostre piccole conquiste. Gli Sugar for your Lips sono Riccardo Monaco alla voce e alla chitarra ritmica, Antonio Belmonte alla chitarra solista e alle voci secondarie, Carlo Bilotta al basso e Niki Bellizzi alla batteria e alle percussioni.

Il vostro nome sembra già fornire diversi indizi. Una scelta da band Alt Rock anglofona e l’evocazione di atmosfere che, immaginiamo, artificialmente dolci ma forti. Tra qualche secondo pigerò il tasto play per verificare; nel frattempo, ditemi quanto ci sono andato vicino?

Hai azzeccato in pieno! La scelta del nostro nome è stata presa, appunto, per dare un tocco di dolce ad una band avente un sound relativamente aggressivo; beh, non resta che ascoltare!

Play appunto. Prima “Glass of Scotch” e poi “Resignation”. Nel primo brano è evidente l’aspetto Alt Rock, Nu metal quasi. Nel secondo si allentano le tensioni e viene fuori un inatteso Pop Rock, velato di romanticismo decadente. Due anime dello stesso corpo. Qual è quella che più vi rappresenta?

Beh, diciamo che il nostro sound si identifica più in Glass of Scotch (non per niente è stato il primo singolo estratto dal nostro EP). È appunto ciò che vogliamo trasmettere al pubblico, energia mista ad una vena di malinconia, con un finale esplosivo, quasi come se volessimo lasciare l’amaro in bocca ai nostri ascoltatori.

I due già citati sono i singoli del vostro Ep Be Sweet. Come è nato questo lavoro?

Il lavoro nasce innanzitutto dalla volontà comune, dopo tanto tempo passato in sala prove e tra piccoli e grandi palchi, di ufficializzare il nostro progetto. Grande merito per la (speriamo!) buona riuscita del lavoro dobbiamo darlo a Joe Santelli, voce e chitarra dei VioladiMarte, che ci ha seguiti e indirizzati verso la “diritta via” presso le Officine33giri.

Svestendo i panni dell’intervistatore curioso e indossando quelli del critico cinico, non posso negare di aver trovato diversi “problemi” nei vostri pezzi, dagli arrangiamenti non proprio perfetti, fino alla costruzione delle linee melodiche, spesso banali ma prive d’appeal. Senza scendere nei particolari, voi quanto siete soddisfatti di quanto fatto fino a questo punto? Ed in generale quanto siete critici nei vostri confronti?

Siamo abbastanza soddisfatti del lavoro svolto, anche grazie alle tante persone che hanno apprezzato la nostra musica. Ovviamente, per quante persone ti apprezzano, ce ne sono tante altre che ti criticano. Noi SFYL incitiamo sempre il nostro pubblico ad esprimere si, apprezzamenti, ma soprattutto critiche, in quanto sono le critiche a farti crescere musicalmente e personalmente (ovviamente se le critiche fatte sono sensate e non campate in aria).

Avete scelto di utilizzare la lingua inglese, guadagnando certo in musicalità ma, inevitabilmente, ponendovi dei paletti circa il pubblico raggiungibile dai vostri testi. Per non parlare delle difficoltà di pronuncia (avete mai pensato a come possa suonare il vostro cantato in inglese se ascoltato da un madrelingua?). La vostra è una decisione ponderata e valutata con cura o frutto di una naturale e personale inclinazione verso quella lingua?

La scelta dell’inglese è stata una scelta ovviamente pensata, anche se è avvenuta con molta naturalezza, in quanto le influenze musicali di tutti noi sono per lo più derivanti da artisti che cantano in lingua inglese. Sappiamo che è una sorta di catena, in quanto in Italia ovviamente la gran parte del pubblico ascolta musica in italiano, ma sappiamo anche che puntiamo al massimo, e puntando al massimo vogliamo che la nostra musica sia compresa dalla maggior parte della popolazione e per questo abbiamo adottato una lingua internazionale.

Quanta importanza date, per restare in tema, alla parte testuale, alle tematiche affrontate, ai contenuti e ai soggetti? Le vostre liriche sono per lo più autobiografiche, rivolte alla musicalità delle locuzioni o prevalentemente narrative?

Per lo più i nostri testi narrano storie di vita, autobiografiche o rivolte alla gente normale che combatte quotidianamente contro i problemi della vita, i quali possono essere l’amore come l’incomprensione. Certamente non mancano i testi socialmente impegnati come in “Too Much Bad News”, altro brano presente nel nostro lavoro (precisiamo che per questo brano abbiamo adottato una “licenzina poetichina” in quanto il titolo della canzone è grammaticalmente scorretto ma più musicale). 

Che differenza c’è nell’ascoltarvi dal vivo? Lavorate molto sul tipo di spettacolo da proporre o, per ora, vi limitate a suonare?

Noi tutti pensiamo che la vera musica, quella che trasmette veramente sentimenti, sia quella suonata dal vivo. Pensiamo che sentire un nostro live sia completamente diverso dall’ascoltare i nostri lavori in studio, in quanto dal vivo tiriamo fuori tutto ciò che le nostre canzoni vogliono esprimere. Dopo tre anni passati sui palchi abbiamo imparato che un live deve essere quasi uno spettacolo e cerchiamo di preparare l’esecuzione dal vivo al meglio in tutti i particolari.

Oggi più che mai sono sempre più le band interessate a farsi largo nel mondo indipendente. Gli strumenti sono importanti e quindi Social Network, live, passaparola, merchandising e quant’altro. Suonare non basta insomma. Come vi state muovendo in tal senso e cosa fate di diverso dagli altri?

Beh, a livello di social, come tutte le band abbiamo una pagina facebook, un canale youtube e siamo iscritti su svariati siti internet di promozione e pubblicità. Di diverso possiamo dire di essere inseriti in un circuito che ha come obbiettivi quelli di promuovere, organizzare serate e produrre le band e gli artisti presenti nel circuito, la Fallen Interlude Movement. Pensiamo che la collaborazione e il supporto tra le band sia alla base di una buona riuscita di un progetto. Uniti si può fare.

Sotto l’aspetto stilistico, come descrivereste la vostra musica? Quali sono i vostri punti di riferimento e cosa avete di diverso da chi vi ha influenzato e da chi vi circonda?

Quando ci pongono la domanda “che genere suonate?” siamo soliti rispondere “non abbiamo un genere, suoniamo la nostra musica”. Ovviamente ognuno di noi ha influenze musicali diverse, che possono variare da band come i Red Hot Chili Peppers a band come i Foo Fighters, i Radiohead fino ad arrivare ai System of a Down. Di diverso abbiamo tutto, ascoltare per credere.

Che approccio avete con la musica? Siete dalla parte del pubblico (che agisce spesso senza fermarsi troppo ad ascoltare, spesso osannando mediocrità assolute) o della critica (che a volte guarda troppo alla qualità allontanandosi dai gusti della gente)?

Ogni volta che suoniamo cerchiamo sempre di guardare il lato critico dell’esibizione, cercando di capire quali sono i punti da affinare per andare sempre migliorandoci. Il nostro obiettivo è quello di far apprezzare la nostra musica non solo ai patiti del genere, ma a tutto il pubblico, nessuno escluso. Vogliamo creare noi i gusti alla gente.

Ultima domanda. Diventare famosi in Italia è quasi impossibile e chi ci riesce, non è quasi mai il migliore e chi lo merita davvero. Vivere di musica, della propria musica è altrettanto improbabile; e allora perché lo fate?

Innanzitutto lo facciamo per passione e per amore verso la musica. I nostri obiettivi sono chiari, puntiamo ad arrivare il più su possibile, senza pensare ai rischi e alle complicazioni che questa strada ha. Crederci è il primo passo per raggiungere un obiettivo, e noi ci crediamo. Il resto del compito lo farà la nostra musica. Grazie per l’intervista, speriamo che le risposte siano state esaustive! Be Sweet; S.F.Y.L.

Last modified: 8 Ottobre 2014

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