Mauro Ermanno Giovanardi – La mia generazione

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In un’epoca affetta da retromania, in cui non si contano dischi e tour celebrativi di anniversari importanti, Mauro Ermanno Giovanardi non sfugge al desiderio di riaprire l’album dei ricordi, alla ricerca delle emozioni perdute della musica dei ’90, di cui è stato esponente di primo piano con i La Crus. Attraverso cover molto personali, La mia generazione è un omaggio a una stagione forse irripetibile e a un gruppo di artisti che nell’ultimo tratto del secolo scorso ha avuto il merito di dare visibilità alla scena indipendente italiana, coniugando il cantato in lingua madre a sonorità normalmente ritenute estranee alla nostra cultura (salvo eccezioni di valore in precedenza).

Nell’album si susseguono quindi brani di Neffa, Marlene Kuntz, Ritmo Tribale, Afterhours, Casino Royale, Ustmamò e poi ancora CSI, Subsonica, Bluvertigo, Mau Mau, Cristina Donà e Massimo Volume. C’è spazio anche per un’autocitazione dei La Crus, con “Nera signora”, il tutto ammantato di uno stile più Pop rispetto ad alcune ruvidezze delle versioni originali.
Ottima la prova degli ospiti: Samuel, Cristiano Godano, Emidio Clementi, Manuel Agnelli, ciascuno coinvolto a duettare su pezzi altrui, per evitare sapientemente l’effetto déjà-vu. Con loro una sorellina minore, Rachele Bastreghi dei Baustelle, che duetta con Giovanardi in una versione Brit Pop di “Baby Dull” degli Ustmamò.
Molto efficace quando può sfoderare la sua voce da crooner (su tutte la già citata “Baby Dull”, “Stelle buone” della Donà e soprattutto la messianica “Il primo Dio” dei Massimo Volume di Lungo i Bordi), Giovanardi cede qualcosa agli interpreti originali quando si confronta con generi a lui distanti (il rap di Neffa in “Aspettando il sole”) o su pezzi fortemente legati al timbro del primo artista che li ha interpretati (ripercorrere le gesta vocali di Cristiano Godano non è affatto un impegno lieve).

Impresa complessivamente riuscita, e se è vero che, per dirla con gli Afterhours, non c’è niente che sia per sempre, in realtà questo lavoro di Giovanardi è ulteriore conferma del fatto che, a distanza di vent’anni, il repertorio underground italico resiste perfettamente alla prova del tempo.

Last modified: 15 Marzo 2019

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