Marco Spiezia – Smile

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“Satanasso, questi faranno strada, questa è musica esplosiva per smuovere le chiappe e pompare il cuore”; questo è quello che esclamò un po’ di tempo fa Paddy Moloney (Chieftains) attraversando l’Hyde Park dei buskers corner mentre un allora sconosciuto e allampanato Eugene Hutz si destreggiava tra mosse avvinazzate, urli e folk’n’roll forsennato insieme a quattro picari sconvolti che un giorno si riveleranno i Gogol Bordello; e questo potrebbe essere anche il pensiero a yo-yo nella testa di chi incappa in questo fulminante Ep “Smile”, un tre tracce – chiaramente con le dovute quote stilistico distanziali dai sopraccitati – da inseguire e non perdere di vista e ascolto, poiché hanno la peculiarità di correre, agire e stringere il tempo in una rutilante goduria di gran classe musicale. L’autore? Il cantautore Marco Spiezia che, con la sua voce e chitarra, insieme alla sua band composta da Luca Taurmino batteria e Danilo Asturi basso, riesce nell’intento di  fissare i suoi accordi frenetici tra le giovani e nuove passioni musicali che si stanno cercando col lumino pur di “credere in qualcosa” di veritiero; dunque dicevamo swing, libertà e ritmi slogati, tre tracce che ci salvano dalla dannazione eterna dell’hipsterismo imperante per portarci nel caldo guascone, canaglia e beatamente retrò della rappresentazione azzeccatissima e atmosferica da pajetta in testa e performances sulla Tube Londinese, tra doo-woop urbani e nigger dreamers che pubblicizzano Apple-cake sbrodolanti, una decisa strattonata sulle strade del piacere uditivo che non ci aspettavamo neanche a pagarla oro.

Musica e pensieri, non solo suoni in diffusioni, tutto si concentra nel dissipare i black things che transitano quotidianamente tra i neuroni già spossati da tanto altro nel charleston punzecchiante “Smile”, il dolce fiatone ska che fa dinoccolare ogni resistenza dovuta alle castrazioni che tante cose vanno ad impedire il riprendersi la propria libertà vitale “Scaramouche” o la polka-western che vuole tagliare “gli interessi” di tanta carta moneta e le teste magari ad altrettanti banchieri “Apple tree”; senza ombra di dubbio tre canzoni scritte come squarci urbani di pura resistenza poetica a tutto, condite con  contemporaneità e la precisa logica di sorprendere.

Marco Spiezia, dopo svariate esperienze in terra d’Albione, viene a seminare la sua goliardica verve in terra natia e nel compendio della nostra fragilità “esterofila” notturna possiamo finalmente riprendere in mano la dicitura “è nata una stella, ma di una galassia finalmente nostra”!  

Last modified: 13 Gennaio 2012

One Response

  1. Francesca ha detto:

    Confermo quello che hai scritto dalla prima all’ultima parola!
    Disco meraviglioso!
    🙂

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