Lowpitch – +bpolare-

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Il dj può essere considerato un musicista? Non basterebbe una sera intera per districarsi nelle potenziali risposte a questa domanda e comunque non si arriverebbe a un’unica soluzione. È verosimile che molti puristi dello strumento musicale storcano il naso e neghino assolutamente una vaga parentela tra i due, così come si potrebbe tenere conto che competenza tecnica e gusto estetico, oltre che senso melodico-ritmico, sono alla base anche di una perfetta realizzazione prettamente elettronica. Non è senza dubbio questa la sede per sbrogliare una matassa tanto intricata, ma i Lowpitch, formazione parmense attiva dal 2009, potrebbero tranquillamente farci pensare che la mancanza di strumenti tradizionali non renda meno valido l’apporto umano anche in un contesto in cui sono le macchine a farla da padroni. La band, infatti, è composta Kiara (voce), dj Krash (turntables, loop, synth), Sygo (produzione, programming, chitarra, voce), una combo perfetta per ricreare sonorità prettamente danzerecce, derivate massicciamente dalla dubstep, che si insinuano ogni tanto nelle linee melodiche, il tutto sulla voce femminile, acuta e calda allo stesso tempo. Il trio ha collezionato negli anni parecchie esibizioni, raccogliendo entusiasmi in tutta la penisola e non solo: sotto la spinta di questi consensi hanno aperto una piccola etichetta discografica indipendente, la Fingercross Records, con la quale hanno già realizzato diverse compilation e l’ultimo, nuovissimo Ep, lanciato dal singolo Niente ormai. I Lowpitch, quindi, sembrano promettere bene, anzi, benissimo, ma fin dall’inizio dell’ep promozionale, che apre proprio con Niente ormai, ci si deve rendere conto che qualcosa non funziona. Nella loro originalità, nella ricercatezza di un suono che in Italia vive in una comunità corposa, ma decisamente isolata rispetto al pop e al rock, in un genere, l’elettronica, che ha fatto tantissimi passi oltre il trip hop di cui pure ancora è debitrice, i ragazzi suonano scontati. Banali.

11 tracce che scorrono veloci, piacevolmente, che sono innegabilmente costruite con grande perizia tecnica, ma che purtroppo non lasciano nulla. I testi, dal ritornello ripetitivo, assillante addirittura in certi brani (come in Monkey cerca guai), non hanno profondità di contenuti, né quell’orecchiabilità e quell’immediatezza che ci si aspetterebbe dal genere. Le sonorità sono parecchio disomogenee, talvolta con rimandi che lasciano qualche perplessità, come in Sotto pelle, in cui il tributo alla disco dance anni ’90 sembra scalzare via per un momento il calore, le sincopi e la sinuosità di linee cui la band sembra molto più avvezza e che ritroviamo, per fortuna, in Complice. I rimandi sono parecchi, soprattutto sul piano vocale. Il primo pensiero va a Meg: Kiara la imita così bene che solo la mancanza della flessione dialettale tipica dell’ex vocalist femminile dei 99 Posse, ci rivela che non stiamo ascoltando lei. E i 99 Posse in generale permeano un po’ tutto l’ascolto del disco, sia per il genere a cui è affidato il canto, sia per i ritmi oscillanti, cadenzati della dubstep, con la tipica influenza reggae. L’altra cantante a cui subito pensiamo ascoltando i Lowpitch è Veronica Coassolo, che ricorderete per il duetto con Samuel Romano dei Subsonica in Livido Amniotico: non è un caso, forse, che alcuni spunti dei parmensi richiamino anche le tracce più genuinamente influenzate dalla world music di Subsonica, primo album della band di Torino, come Preso blu o Cose che non ho. I Lowpitch, secondo me, stanno pagando un po’ il pegno di essere emersi dopo il boom di un certo tipo di elettro-dance nostrana: pur volendo sicuramente differenziarsi da quel tipo di composizioni, respirando un’aria più internazionale, non si sono forse resi conto di quanto siano rimasti incollati a quel groove tipico delle produzioni di Casacci e soci, affacciandosi sulla scena con un ritardo di oltre dieci anni. La base è ottima, non resta che trovare una propria interpretazione del potenziale sonoro, fonico e timbrico che tutte quelle macchine offrono, non dimenticandosi, però, che il pubblico è fatto di carne, mente e cuore.

Last modified: 23 Maggio 2012

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