L’immenso Club to Club 2016

Written by Live Report

Il mio Club to Club inizia qualche mese fa, quando, durante una serata al Garbage Live Club di Pratola Peligna dedicata alla Warp Records, un mio amico dj e futuro compagno di avventura a Torino, viene da me con entusiasmo fanciullesco e mi dice: “Oh, a novembre si parte”. “E dove si va?”, faccio io. “Al Club to Club; ci sono gli Swans“. “E chi altro?” dico. Lacrime agli occhi ed eccitazione alle stelle. “Autechre e Amnesia Scanner bastano?”. Basteranno.

Qualche mese dopo mi ritrovo a Pescara; mentre la festa è già iniziata nella splendida Reggia di Venaria con Gans of Ducks Soundsystem, Tdc Palazzi, Elisia Crampton, Chino Amobi e Olivia (Unsound), a me tocca aspettare il treno fino a notte fonda e decido di farlo nel modo migliore possibile, fiondandomi allo Scumm per il doppio live di Radio Shakedown, che in formazione rinnovata sembrano aver acquistato tutto un altro passo e gli indomiti Straight Opposition, capitanati dalla macchina da palco Ivan, il quale non disdegna di ripetere il suo concetto di Hardcore, against racism, homofobia and other stuff. Alle tre e trenta il viaggio ha inizio.

Finalmente sbarco a Torino ma non è ancora il mio momento. Le stanze dell’Absolut Symposyum, enorme figata, sono il luogo scelto per interviste, dj set alternativi all’evento principale, live di emergenti e altre chicche e sono già aperte, così come la sede madre, Lingotto Fiere, pronta a ospitare i tanti ragazzi giunti da tutto il mondo fin sulle sponde del Po per assistere a questo spettacolo unico. Decisamente unico, perché, in Italia, non c’è niente come il Club to Club nel campo dell’Elettronica “altra”; la scelta delle varie location regala a tutti una sensazione di esclusività e la lista dei performer è da farsi drizzare i peli del pube. La sera del tre novembre, al conservatorio, l’inizio diventa reale e tangibile con l’Art Pop sperimentale dello statunitense Arto Lindsay che regalerà circa un’ora di esibizione e diviene ancor più concreto nella sala gialla del Lingotto con i quattro concerti di Forest Words, del canadese Tim Hecker (che Dio mi perdoni per essermelo perso), del “post”dj set di Arca accompagnato dai visual (che un po’ hanno scassato ma almeno il tempo passa più in fretta se non sei fatto e non vuoi ballare) di Jesse Kanda e, a chiudere, di XL Djs.

Il MIO Club to Club inizia, però, il giorno successivo; salto mio malgrado la parte pomeridiana del Symposyum dove, tra le altre cose, avrei potuto ascoltare qualche interessante emergente come Haron o Torus dj o le conversazioni tra i giornalisti di Rolling Stones e The Wire con One Circle e Galka, per gustarmi un po’ Torino, giacché seguire tutto, ma TUTTO il festival sarebbe un’impresa folle e stoica e la città è tanto bella che non potevo evitare di tornare nei luoghi magici che l’adornano. Quando arriva la sera, come un dodicenne segaiolo al suo primo appuntamento sono davanti ai cancelli dove c’è ancora poca fila e nessuno capisce bene da quale ingresso entrare col biglietto cartaceo, da quale con quello telematico, con l’accredito e quant’altro, tanto che un tipaccio della security ci dice di fare un po’ come cazzo ci pare che tanto siamo quattro gatti. Entriamo comunque con una certa ansia, lasciamo le nostre cose al guardaroba pentendocene non molto dopo perché tra i diversi palchi e l’esterno si passa dai quaranta gradi a temperature tipiche di Oslo a Natale tanto che gli sbalzi termici cui siamo sottoposti sembrano la dura preparazione a un viaggio nello Shuttle e, finalmente, siamo sotto il palco per Anna Von Hausswolff, sorta di svedese bionda regina degli inferi accompagnata da qualche “cigno”. Lei è la compagna fittizia del demonio Gira che tra poco salirà sulle quinte e sarà lei ad aprire i suoi concerti, dimostrandosi in perfetta sintonia col maestro anche per quel sound potentissimo, mistura violenta e rumorosa di Experimental Rock, Ambient, cantautorato, Drone e Art Pop, per la timbrica accattivante e per l’assoluta mancanza di smodata ricerca di perfezione stilistica.

anna

Anna Von Hausswolff

Ora c’è da decidere tra questa tipetta fighissima di Toxe che è un peccato non godersi e gli Swans. Scelgo gli ultimi. Quando tocca a loro non ci sarà ancora la folla che vedremo dopo; di sicuro ci sono i fan più esagerati (a volte odiosi) che, per carità, anch’io li adoro, ma fate i bravi che non avete mica davanti Rihanna (passatemi la provocazione). Tuttavia, Gira è semplicemente maestoso; i Cigni, nonostante l’età dei suoi membri, si dimostrano una delle più potenti (e non parlo solo di alzare i volumi) band che abbia mai visto. Scelgono di non scegliere le loro derive Krautrock o Neo Folk e non si fossilizzano sulle creazioni più elettroniche, nonostante il contesto potesse richiederlo; puntano sulla potenza Noise Rock, sul loro lato più sperimentale, su lunghe digressioni Post Rock e sulla cupezza della No Wave, scegliendo il fianco più malefico del proprio essere e confezionando qualcosa a metà tra una messa satanica e una funzione che raccolga ogni culto presente su questa terra, il tutto ufficiato dal reverendo Michael Gira che sviluppa e unisce ogni passo come un’unica suite, una litania urlata da un pernicioso direttore d’orchestra. Conduce i suoi musicisti, si muove, salta, incita, canta, recita, urla, da il via e lo stop e chiede crescendo; ma intorno a lui non stanno certo a guardare, con un basso che pare il migliore attore non protagonista sul palco, chitarre affilatissime, tastiere impazzite e nevrotiche e “rumori ultraterreni”. La vocalità non sarà certo il suo punto di forza ma è quella stessa voce a tradursi in un carisma difficile da scovare altrove, tanto che, a fine concerto, ci sembrerà di osservare esausti un freschissimo Gira e ci gelerà un brivido ripensando a quei suoi gesti rituali che sembravano quasi raccogliere le energie di noi poveri mortali per farle proprie e lasciarci a pezzi.

swans

Swans

Col passaggio dagli Swans alla Minimal Techno di Powell inizio a intuire una cosa che, in precedenza, era solo un pensiero recondito nella mia mente. Il pubblico finalmente può ballare e scaldarsi; l’evento entra nel vivo ma io faccio quella che sarà la scelta più intelligente e furba di tutta la mia permanenza nella città sabauda. Mi sposto subito nella sala gialla, evito Nick Murphy (Chet Faker) puah, per attendere gli Amnesia Scanner, formazione d’adozione germanica ancora poco nota ma dal suono già imponente; sono in grosso anticipo eppure già c’è da fare la fila. Mentre aspetto, sul palco si alternano il Downtempo di Mura Masa e l’Electro Tech/House olandese di Fatima Yamaha che, con quelle tastierine fastidiose, sembra far divertire tutti tranne me; non è questo che m’interessa. Io voglio solo il mio posto davanti al palco per essere uno dei pochi che riuscirà ad ascoltare gli Amnesia Scanner. Proprio così; perché, cosa assurda, anche se avrete pagato il biglietto, vi potrebbe essere negato l’ingresso in sala; cosa giusta per ovvie questioni di sicurezza se si fa la scelta di usare due sale, di cui una enormemente più piccola dell’altra, ma che poteva essere precauzionalmente comunicata così da permettere a chi aveva davvero voglia di assistere, di prendersi il suo spazio al posto di chi sto qua che fa più caldo.

Amnesia Scanner

Amnesia Scanner

Io riesco a piazzarmi in prima fila, sulla transenna, e mi godo lo spettacolo unico per una formazione tanto minimale e con poco clamore alle spalle se non quello sollevatosi negli ultimi tempi (complice l’ottimo As). Prima di loro il pubblico ha ballato, si è divertito ed è stato bene ed ecco arrivare questi due tizi, Ville Haimala e Martti Kalliala, a sconvolgere i piani con la loro Elettronica amorfa, rumorosa, violenta, inquietante, misto di UK Bass, Glitch e IDM. I due si piazzano dietro un fascio di luce verticale, cangiante e sorprendentemente simile a uno scanner stile Man in Black, il quale si muove ipnoticamente da destra a sinistra, rapendo la nostra mente, in una marea di fumo che ci impedisce di scorgere i loro volti anche a un metro, insieme alle altre luci che, al ritmo della musica, rischiano di regalarmi cecità perenne o una crisi epilettica. Il live è mirabile eppure ci sono tanti ragazzi che stavano ballando e divertendosi e molti non erano pronti a tutto questo; ma c’è anche chi stava aspettando ciò con trepidazione. Noi siamo i gasati ma c’è chi mugugna e questa situazione sarà più chiara qualche ora dopo. Gli Amnesia chiuderanno il concerto alla grande e, più tardi, li incontreremo nelle sale del Lingotto a girovagare tra la gente ma ora tocca, sulle loro orme, alternativamente alla Future Garage di Koreless, al mix di Hip Hop e Uk Bass di Gaika e a One Circle. Io devo necessariamente andare altrove, mio malgrado. Per il troppo caldo e per la voglia di sigaretta e perché nella sala grande c’è quel mostro di Laurent Garnier. Per lui tre ore di cassa dritta, un po’ di paraculaggine che gli italiani lo vogliono così,  Techno, Tech House, gente presa bene in un tripudio un po’ pacchiano ma giusto di luci. L’atmosfera è cambiata, il pubblico aumenta notevolmente e il tutto prende più le sembianze di una serata in disco che non di un grandioso festival musicale. In fondo il Club to Club è questo, con i pregi (tanti) e i difetti (minimi) di un concerto e i vizi (ridotti) e le virtù (enormi) di una dancefloor. Dopo le prime ore di Garnier la situazione si fa più complessa e non solo per noi “vecchietti”. La domanda è una: “Come arrivare vivi al live degli Autechre, alle quattro, noi che già ora abbiamo le palle piene del francesino?”

Laurent Garnier

Laurent Garnier

Ci rifugiamo nel corridoio che unisce le sale, dove c’è aria, luce, un bar e qualche buco per sedersi ed è ormai diventato “ospedale da campo” di noi guerrieri. Un ragazzo alle mie spalle, laconicamente, riassume la situazione: “Io mi starei pure a divertire, anche se certa roba mi fa schifo, ma questo ha veramente rotto i coglioni (rivolto indovinate a chi?) ”.

Autechre

Autechre

Nonostante tutto, ci siamo quasi; usciamo un’ultima volta dalle porte di sicurezza della grande sala che danno sullo spiazzo dove sono venduti panini discreti a prezzi da boutique e dove sono dislocati i tantissimi bagni chimici (per fortuna pisciare non sarà mai un’impresa) ovviamente a quest’ora ridotti a latrine. Piove molto; qualcuno sta male, qualcuno è su di giri ma il servizio di sicurezza è efficiente ed eccellente, sia nel mantenere l’ordine, sia nel trattare noi come essere umani e non carne da macello. La cicca è finita. Andiamo dagli Autechre. La stanza è piena, tanti sono arrivati da poco per ballare fino al mattino; il cambio palco darà qualche indizio. Sullo stage resta solo il minimo indispensabile e, per minimo, intendo il MINIMO. Tutte le luci sono spente. E per tutte intendo TUTTE. Buio sopra e sotto, buio in sala, spenta la struttura luminosa che capeggiava al centro, tra la gente, spenti i bar, frigo compresi. L’aria è irreale, specie per un live di musica Elettronica; stiamo per decollare verso un futuro lontano anni luce. Sean Booth e Rob Brown sembrano quasi volerci invitare alla massima concentrazione senza distrazioni; e al tempo stesso è come se volessero sarcasticamente rilevare le differenze tra la pomposità di chi li ha preceduti e loro. Il concerto inizia e qui comincia qualche problema. Ho preso posto sotto il palco e sono letteralmente rapito dai suoni nevrotici della loro IDM oltre che dall’ambiente che si è creato. Il pubblico, però, è ancora caldo, stava ballando e lo avrebbe fatto fino all’alba; qualcuno, inutilmente, prova a ballare, altri fischiano, sbraitano, danno spintoni, urlano. Molti non sanno chi ci sia sul palco e forse non sanno niente della line up del festival. Qualcuno esagera con le parole facendo imbarazzare me per la loro ignoranza triviale. Tutto poteva essere fantastico ma non è potuto esserlo fino in fondo. Il problema del Club to Club, ora è chiaro, non sono certo i cocktail annacquati a nove, NOVE, 9 euro, mortacci loro (almeno di gente ubriaca e molesta ce n’era poca), come non è la scarsità di mezzi a disposizione per tornare a casa (che mica tutti abitano in centro). Il problema è che non molti hanno capito cosa sia il Club to Club e gli organizzatori, per scelta o per errore, non sembrano aver voluto chiarire troppo le idee. Per qualcuno è un evento Techno House per ballare tutta la notte; per altri un festival di Elettronica sperimentale. Chi non ha chiaro che le due cose siano mischiate finirà per scontrarsi, ovviamente metaforicamente, con l’altra fazione. Chi a Torino c’è stato, starà per leggere una banalità eppure molti si sono chiesti: ”Se si voleva un C2C tanto vario e diversificato, non si sarebbero almeno potute fare sale divise per generi e attitudine?” Magari l’intento era proprio quello di aprire i due tipi di pubblico a generi differenti ma che tortura è stata, per chi non voleva ballare, sorbirsi tre ore di Garnier prima del concerto degli Autechre alle quattro? Altra domanda è: ”Se proprio non si poteva fare questa divisione, non avrebbe avuto più senso far suonare prima le formazioni più sperimentali e d’ascolto considerando che chi vuole ballare ha più dimestichezza con le ore piccole? E che senso ha far ballare i ragazzi per ore e poi tramortirli con Autechre, Amnesia Scanner o chi per loro?” Del resto Anna Von e Swans hanno avuto successo perché chi è venuto tanto presto, l’ha fatto per loro, nonostante quasi suonassero fuori luogo. Rimandiamo queste domande al giorno seguente e ci godiamo gli ultimi minuti di concerto/non concerto (come definire due computer nel buio pesto?); rinunciamo alla Dub techno di Andy Stott e a Gqom Oh!: Nan Kolé, Dj Lag che finiranno alle sei. Proviamo a cercare un mezzo ma i pochi autobus vanno lontano dalle nostre destinazioni, il servizio Zego sembra fuori servizio e, nella pioggia battente, c’è da litigare per un taxi. Alla fine ce la faremo, pronti per domani.

Il sabato del Club to Club ne rivelerà una nuova veste, sicuramente più esotica, nera e multiculturale. Nel Symposyum, tra le tante cose, ci saranno le interviste a Dj Shadow e ancora una volta l’innominabile francese ma noi ci concentriamo sulla sera, stavolta senza prenderci troppa fretta. Nella sala grande ci saranno prima Giad e poi Ghali a scaldare il pubblico, mentre nella gialla, apre le danze l’italiano Jolly Mare, per me inspiegabilmente fin troppo apprezzato e il live di Lafawndah, Iraniana a Parigi, anch’essa gradevole ma che non degna in me troppo interesse.

Ghali

Ghali

Molta più curiosità per il live dei canadesi Junior Boys che ho amato già dai tempi di Last Exit e che proporranno tanti brani classici di repertorio facendomi felice nonostante il poco mordente, volumi fin troppo contenuti e qualche imprecisione di troppo alla voce. Tutto sommato, ne esco soddisfatto perché il loro Synthpop suonato è fatto di tanti brani impossibili da disprezzare. Non finisco di ascoltarli e mi sposto nel main stage, dove sta per esibirsi Junun, con il chitarrista dei Radiohead, Jonny Greenwood, l’israeliano Shye Ben Tzur e l’orchestra The Rajasthan Express. Nonostante nel campo della World Music non siamo proprio davanti al meglio in circolazione (magari avessi visto i Konono N°1, ad esempio…) e nonostante tanta sia la componente folkoristica dell’ensemble, tutto sommato ci scappa uno dei momenti più divertenti e affascinanti di tutto il festival.

Junun

Junun

Dall’altra parte c’è un’altra canadese, Jessy Lanza ma io preferisco andare qui fino in fondo, scatenandomi tra balli ed excursus nel mondo indiano e maghrebino fino all’arrivo sul palco del grande Dj Shadow, bellissimo sia come spettacolo visivo, sia sonoro, nonostante i mille ringraziamenti che sembravano fin troppo forzati.

Dj Shadow

Dj Shadow

Per lui, rinuncio purtroppo, alla Disco Music di Daphni (ancora Canada, ragazzi) che vedo di striscio prima dell’arrivo di Jon Hopkins, sempre tra i migliori del genere come ho potuto costatare già al Vasto Siren Fest dello scorso anno. All’appello mancano solo i grandi Clams Casino, sulla scia di Dj Shadow, Motor City Drum Ensemble e quella Deep House Disco Music teutonica che non avrei mai voluto perdermi e quindi Janus: M.E.S.H., Total Freedom, Kablam ma io sono veramente alla frutta e manca ancora un giorno alla fine.

Junun

Junun

La domenica s’inizia presto nella piazza Madama del quartiere vivo e multiculturale di San Salvario. C’è ancora Lafawndah a scaldare il pubblico infreddolito, c’è cibo di strada, c’è un clima incredibile di pace e armonia tra razze e culture che si fondono tra loro anche grazie alle diverse organizzazioni accorse per dare il proprio contributo e voce alle proprie idee di libertà. A seguire tocca al Footwork di RP Boo prima di spostarsi tutti all’Astoria, dove continuerà fino a tarda notte il festival nella giornata Warp to Warp dedicata alla mitica etichetta.

Lafawndah

Lafawndah

Alla fine saranno più di cinquanta gli artisti esibitisi, provenienti da oltre quindici paesi diversi del mondo, in location incredibili dentro una città fantastica, una di quelle in cui con più tranquillità ho potuto assistere a scambi interculturali e al tentativo d’integrazione e aggregazione. Pare sia stata una delle più riuscite edizioni del Club to Club; per me la prima e certamente non l’ultima, visto quanto ho assistito. Organizzazione fantastica per un evento che fa dell’Italia un posto migliore per chi ama la musica. Per il bene di tutti, spero di rivedervi in tanti il prossimo anno al Club to Club, spero ci siano ancora molte edizioni e spero che sia sempre una grande festa com’è stata quest’anno, per i ragazzi ma anche per i tanti meno giovani che non hanno avuto il timore di stare in piedi fino a tardi a conoscere gente lontana solo per geografia ma vicinissima col cuore. Il mio Club to Club finisce alla stazione; c’è un treno che mi aspetta e ottocento chilometri da macinare scrivendo queste righe. Prima di partire mi soffermo dove c’è il pianoforte, all’ingresso di Porta Nuova, a disposizione di chiunque voglia suonarlo. C’è un ragazzo biondo sullo sgabello, con un tatuaggio di pene e testicoli sul braccio che intona un brano di Yann Tiersen. Quando la voce gelida annuncia la partenza del mio treno, il ragazzo infastidito interrompe bruscamente e se ne va. Anch’io me ne vado. Le sue ultime note sono il personale arrivederci di questa splendida città a noi che siamo venuti a trovarla. A me non resta che dire grazie per tutto il bello che mi è stato concesso.

P.s. durante il festival, una ragazza si è prodigata tanto per distribuire tagliandi con scritto CIAO, ASCOLTA IL NOSTRO NUOVO DISCO INDIE-ELECTRO, TI PIACERA’. Poiché mentre noi ci godevano tanta magnificenza, lei era a farsi il culo per un progetto in cui crede, dategli un ascolto e scaricate gratis il singolo degli Umaan da qui  o dalla pagina facebook.

Last modified: 22 Febbraio 2019

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