Femminismo o civiltà? Il lato rosa del Primavera Sound

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Una perfetta rappresentazione della contemporaneità attraverso le protagoniste dell’edizione 2019.

Lo so, quello all’inizio del titolo è un termine divenuto spinosissimo, e come se non bastasse io ci ho pure aggiunto il classico ossimoro del colore rosa. Ho esordito male ma fidatevi, questo non è un articolo alla Freeda, e a scriverlo è un tipo di donna che alcune compagne di genere e di battaglia non esiterebbero a bollare prematuramente come dissidente.
D’altronde di questi tempi – tempi assai polemici, o forse semplicemente assai social – ho l’impressione che intorno al concetto di femminismo le controversie più accese nascano proprio tra donne. Da un lato è rincuorante: il mondo è bello perché è vario e non è che bisogna essere tutte d’accordo solo perché abbiamo la vagina. Forse però, a furia di elucubrare, accentuare le sfumature e pensare a confezionarsi la propria fetta di causa, a volte noi stesse finiamo per perdere di vista il senso di una annosa questione che a quanto pare è ben lontana dal potersi dire risolta.

The New Normal: lo slogan scelto per questa edizione del Primavera Sound di polemiche ne ha generate non poche. Personalmente vi ho partecipato da spettatrice, poiché ho avuto bisogno di capire se l’ambizione a una nuova normalità – quella in cui un cartellone composto al 50% di artiste donne non fa notizia – poteva combinarsi col mio innato scetticismo riguardo alle cosiddette “quote rosa”, che per me hanno sempre avuto la faccia di uno di quei traguardi farlocchi, poco compatibili con la meritocrazia e in sostanza buoni solo a darsi la zappa sui piedi.

Nel corso della storia i traguardi concreti ci sono stati, non è questo che si mette in discussione. Nell’immaginario collettivo però le cose stanno ancora in un certo modo: il consulente finanziario è maschio, l’estetista è femmina, il parrucchiere è uomo ma è omosessuale.
Quello della musica invece è l’universo liberalista per antonomasia, il mondo di quelli che i cliché li sfidano e li superano. E se anche questo fosse un preconcetto? Qualcuno ha provato a fare un esperimento, cancellando i nomi degli artisti uomini e delle band composte da soli maschietti dai cartelloni di edizioni passate di alcune grandi rassegne musicali internazionali. Bando alle ciance, quelle locandine rimaste quasi vuote sono diventate un eloquente dato di fatto.

La realtà è che oggi lo showbiz musicale è ancora appannaggio degli uomini, sia sotto i riflettori che dietro le quinte: a guardarlo con disincanto, si rivela essere uno dei tanti settori lavorativi in cui alle donne che vogliono avere la stessa credibilità del collega maschio tocca fare il doppio degli sforzi (per la serie: è assodato ormai che sappiate svolgere altre mansioni oltre a quella di groupie – non siamo mica dei leghisti trogloditi! – però se il tour manager è un uomo siamo tutti più tranquilli).
Il caso vuole che lo scorso anno a Barcellona, chiacchierando con Marina Herlop, il discorso sia finito da queste parti. Grossomodo il punto era: se quando si tratta di avanguardie musicali mi vengono in mente molti più artisti uomini che donne, la colpa è mia che sono ignorante? Oppure è degli altri che non ne parlano abbastanza? O addirittura è colpa loro, delle artiste donne, che magari non esistono affatto?
Conoscendo una realtà come Shesaid.so escluderei la terza ipotesi. Questo network internazionale che connette e supporta le donne che operano nell’industria musicale – dalle musiciste alle pr, passando per le etichette, la stampa e le addette agli aspetti tecnici – è attivo dal 2014 e ad oggi conta 15 divisioni in tutto il mondo (quella italiana è nata lo scorso anno). Il focus è sui diritti delle donne, ma il movimento si propone di dar voce ad ogni tipo di community che si trovi ai margini del music business: un po’ come il Primavera, che con quel “new normal” spera che la consuetudine diventi non solo una massiccia presenza femminile, ma anche una notevole pluralità di tendenze musicali e provenienze geografiche.

Insomma, mi sa che qui, col fatto che in generale ce la passiamo decisamente meglio delle nostre nonne, il femminismo si è convinto che tutto sommato il grosso era fatto e si è messo a sculettare appresso a Beyoncé. C’è da fare un po’ di retromarcia e ricordarsi che in alcuni casi il fine giustifica i mezzi, come diceva qualcuno che di baruffe sociopolitiche ne sapeva a pacchi: forse nel processo di educazione alla civiltà dell’uguaglianza siamo ancora nel bel mezzo di quella fase in cui l’imposizione di un 50/50 è tristemente necessaria.

A convincermi poi definitivamente della bontà dell’impresa in cui il festival catalano ha deciso di imbarcarsi sono state proprio le protagoniste a cui l’ha affidata. Non c’è alcun allarme “quote rosa”: a starle a sentire con attenzione appare chiaro che quelle che vedremo sugli stage al Fòrum saranno lì non solo in quanto donne, ma in quanto musiciste perfettamente rappresentative di una complessa contemporaneità artistica.

POP ART

Diciamoci la verità: quelli che schifano la musica pop a prescindere in fondo sono un po’ come quelli che non ridono mai per paura di sembrare scemi (e poi, ora che hanno sdoganato tutto, a confessare che ascoltate sia i Nine Inch Nails che Ariana Grande ci fate pure bella figura). Tra gli act più attesi c’è senza dubbio quello di Rosalía (e se proprio non vi ha convinti il nuevo flamenco del suo El mal querer l’avrete certamente apprezzata tra gli ospiti nel nuovo di James Blake). Se gradite il synth pop, oltre alle garanzie come Robyn, Róisín Murphy e Janelle Monae le performance da gustarsi sono quelle di Empress Of e Princess Nokia. Ma ce n’è per tutti i gusti: la nuova icona della scena black americana Lizzo, la giovanissima rapper Kodie Shane, l’australiana Hatchie e il suo bubblegum pop d’ispirazione 80’s, Ama Lou con un morbido nu soul.
Tante trapper tra le artiste spagnole, ma anche Mow e il suo dream pop à la Daughter, il folk soffuso nel songwriting di PAVVLA e lo scoppiettante trio sintetico Cariño.
Infine, occhio all’enfant prodige della scena hip hop Tierra Whack. Il suo Whack World è un lavoro identitario e rivoluzionario: flow efficaci e sound cangiante, condensati in brani da un minuto ciascuno (la durata massima di una clip su Instagram) ad incarnare il ritmo frenetico della contemporaneità.

CHITARRE

Ok che ci piace il pop ben fatto, ok che quelli sintetici sono diventati ingredienti usuali nelle ricette rock, ma le corde non andranno mai in pensione, fatevene una ragione. A confermarlo ci penseranno le giovani songwriter armate di chitarra che vedremo sui palchi del Forum: Soccer Mommy, Lucy Dacus, Tomberlin, Julien Baker, Snail Mail. C’è poi un trio esplosivo (e pure autoironico, a giudicare dal moniker): le Dream Wife hanno esordito in long playing lo scorso anno e sembrano cresciute a pane e Sleater-Kinney. Altre formazioni rock tutte al femminile da tenere d’occhio? Melenas, Kelly Kapøwsky e Las Odio, tutte made in Spain.

CLUB CULTURE

L’elettronica è ormai protagonista indiscussa del Primavera Sound, che da alcuni anni le dedica un’intera area (quest’anno con ben 3 palchi), con sonorità che vanno dalle più danzerecce alle più avanguardistiche. Tra le tante strade che una musicista può scegliere di intraprendere, questa ha l’aria di essere la più impervia: è opinione diffusa che il binomio donna-tecnologia non sia tra i meglio assortiti. Eppure anche qui le donne hanno dimostrato da tempo di avere voce in capitolo: vedasi la pioniera Nina Kraviz, l’impasto ipercinetico di SOPHIE, il fenomeno Peggy Gou, nomi imprescindibili del clubbing come Helena Hauff e Avalon Emerson. C’è anche una presenza italiana notevole e meritatissima, quella di Caterina Barbieri, che è solo uno dei tanti volti giovani (JASSS, Aïsha Devi, Roza Terenzi, Peach, Xols, RRUCCULLA, Steffi, Museless). Non perdetevi il set di Yaeji, newyorkese di origine sudcoreane dedita a una deep house che accompagna con rapping e soffuso cantato r’n’b.

OLTRE LA MUSICA

Artiste concettuali come FKA Twigs e Neneh Cherry garantiscono performance live che vanno decisamente al di là di una semplice esperienza uditiva, ma le loro non saranno certo le uniche. C’è una manciata di artiste che mi auguro verranno collocate nei luoghi e agli orari più adatti a godere dei peculiari soundscape in cui si muovono, che chiamano in causa più di una sfera sensoriale: Julia Holter, Aldous Harding, ma anche Tirzah col suo immaginifico post r’n’b ed Elena Setién, eterea multistrumentista che in chiave alt folk affronta le problematiche della sua terra natia, il Paese Basco.
C’è il nichilismo dello spoken incendiario di Kate Tempest, in bilico tra rap e poesia, che la rende portavoce di un’intera generazione, ma i messaggi possono essere urgenti e mirati anche quando i mezzi non sono altrettanto ostici, come nel caso di Solange. Assistere al suo live al Primavera 2017 è stata un’esperienza totalmente inedita, in grado di trasmettermi in maniera netta e profonda le istanze di una fetta di umanità a cui non appartengo. Circondata dalle reazioni emotive che i brani di A Seat At A Table scatenavano nelle afroamericane presenti, in qualche modo mi percepivo come inopportuna lì in transenna insieme a loro, e allo stesso tempo quei volti mi facevano dono di un grado di empatia che non avrei potuto esperire altrimenti. Come la piccola di casa Knowles, anche Georgia Anne Muldrow nel suo ultimo Overload coniuga temi personali e istanze sociali con la stessa fluidità con cui miscela pop, jazz e hip hop.

WIDE WIDE WORLD

È da diverse edizioni che le voci del Primavera Sound parlano tante lingue e vengono da ogni parte del mondo. Sono voci consolidate, come quella di Cuba incarnata in Dayme Arocena, ma anche voci giovani che perpetuano la tradizione locale, come quella del nuovo volto del flamenco María José Llergo. Sudafricana trapiantata a Berlino, Alice Phoebe Lou spazia dal jazz al bedroom pop. Myrkur è una giovanissima danese che si divide tra folk gotico e metal estremo. L’italo-tunisina Lndfk propone un soul pop sensuale e sofisticato. Niente a che vedere col pop che viene dall’estremo Oriente, massimalista e ibridato col rap e col punk: se vi incuriosisce non perdetevi Haru Nemuri e soprattutto le CHAI, tra le rivelazioni dell’anno col loro secondo album uscito poche settimane fa, ma anche il debut tra indie, soul e jazz di Nilüfer Yanya, britannica di origini turche, si inserisce tra le uscite più interessanti di questo 2019.

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Last modified: 26 Aprile 2019