Ex Hex – It’s Real

Written by Recensioni

Tra power pop e hard rock, un album piacevole e adatto alla bella stagione.

[ 22.03.2019 | Merge Records | power pop, indie rock ]

Con ogni probabilità, il nome di Mary Timony ai più non dirà nulla. Ed è un peccato, perché nell’ambito indie rock a stelle e strisce la nativa di Washington DC ha un curriculum di tutto rispetto alle spalle: dapprima la militanza negli Helium, formazione indie / noise pop novantiana in tutto e per tutto, passando per una successiva carriera solista un po’ nascosta ma sicuramente degna di interesse, finendo con l’illustre partecipazione nelle Wild Flag, side project di due delle tre Sleater-Kinney, Carrie Brownstein e Janet Weiss.

Il progetto tutto al femminile Ex Hex (dal titolo di uno degli album solisti di Mary) giunge con It’s Real al secondo capitolo della propria discografia, dopo l’esordio avvenuto cinque anni prima con Rips.

Dopo cotanta premessa, le influenze sembrano quasi scontate: indie rock e power pop a cavallo tra ’80 e ’90 (qualche nome? Cheap Trick, Replacements, Big Star, ma anche i Guided By Voices meno lo-fi). Stavolta però le tre americane (la Timony è accompagnata da Betsy Wright al basso e Laura Harris alla batteria) provano ad apportare alcune novità al proprio sound, che non sempre appaiono del tutto centrate, diciamolo subito.

It’s Real è un disco robusto ed esuberante, con canzoni più lunghe e strutturate rispetto agli esordi; ciò che lo differenzia dal predecessore è un certo ammiccare a suoni decisamente mainstream, con rimandi più o meno palesi ad un AOR tipicamente ’80s. È il caso di brani come Rainbow Shiner e Another Dimension (quest’ultima caratterizzata da coretti durante le strofe che appaiono obiettivamente anacronistici nel 2019), in cui è palese l’idea di ricercare un sound più laccato e classicamente hard rock. La robusta opener Tough Enough, caratterizzata da un energico riff, risulta già più convincente, con il ripetuto “Are you tough enough?” che sembra essere una domanda che le tre americane pongono in primis a sé stesse.

In generale l’album si fa apprezzare molto di più quando i ritmi si fanno più serrati e si torna al caro, vecchio indie / garage (materia che le Nostre padroneggiano alla grande, va detto): Good Times ha evidenti echi sleater-kinneyani, mentre Diamond Drive presenta quell’urgenza espressiva che vorresti sempre da ragazze cresciute a pane e underground americano ’80.

Provare a dare una svolta più mainstream al proprio sound non è necessariamente un male, l’importante è non stravolgere troppo la propria natura, col rischio poi di perdere una certa identità musicale. In questo sophomore le Ex Hex riescono ancora ad equilibrare abbastanza bene le diverse velleità sonore, ma la speranza per il futuro è che le chitarre ruggenti e i ritmi incalzanti tornino a farla da padrone rispetto a cotonati ammiccamenti old style che francamente appaiono fin troppo banali per musiciste del genere.

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Last modified: 3 Aprile 2019