Edaq – Dalla parte del cervo

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Scartare un album è come scartare un regalo di natale, soprattutto se il suddetto non si conosce. Dalla prima occhiata alla copertina si entra in un mondo tutto nuovo, fatto di cervi, di praterie, di atmosfere e sapori lontani, di gonnellini scozzesi e di quella natura selvaggia tanto preziosa, quanto dimenticata. Tutto questo gli Edaq (acronimo del nome originale Ensemble D’Autunno Quartet) lo raccontano nel loro lavoro d’esordio Dalla Parte del Cervo, album di dodici brani, strumentali, suonati e goduti per circa sessantasette minuti.

Ogni strumento è chiaro e centrato in un genere che va dal popolare al folkloristico più marcato, in quelle danze abbracciate in gruppo, che si evolvono in melodie malinconiche che mi ricordano un’America vuota e abbandonata, al contrario di altre che sanno di piccoli paesini francesi, allegri e festaioli. Non mancano le melodie più contemporanee, con una puntina di sperimentazione, che subito ritornano all’idea primordiale, di tradizione (quasi classica, che ricorda la musica antica) e di danza, come il valse, la polca e la bourrèe, in ritmo ternario, veloce e friccicante per la voglia di battere le mani. Bella la rilettura dei classici “bal-folk” europei, il tutto fatto con la massima libertà espressiva senza tradire lo spirito dei brani originali. E come loro stessi dicono “Cerchiamo di fare in modo che questa musica diventi una sorta di arte popolare, per essere più precisi di artigianato popolare, in cui si vanno a mescolare diversi linguaggi multimediali”. Come diverse sono le esperienze, le collaborazioni e le estrazioni culturali dei componenti dell’ensemble, formata da Francesco Busso alla ghironda, Gabriele Ferrero al violino, Flavio Giacchero alla cornamusa e clarinetto basso, Enrico Negro  alle chitarre, Stefano Risso  al contrabbasso e Adriano De Micco alle percussioni.

Un bell’esordio, con un album che non è fatto per tutti, ma che tutti dovrebbero ascoltare per riscoprire da dove veniamo e dove dovremmo andare. Una musica che va ascoltata attentamente per carpirne i cambi di tempo, le dinamiche, il diverso colore degli strumenti, come la cornamusa e la ghironda (un cordofono di origine medievale) e tutti quegli elementi nascosti nei molteplici minuti di questi dodici brani, molto lontani dalla noia, che a volte attanaglia l’esistenza di alcuni album, fatti solo di suoni assordanti.       
Insomma, in poche parole, un ottimo esordio e un’ottima conoscenza.

                                                                                                                                                               

Last modified: 20 Febbraio 2022