Cinque canzoni brutte, bellissime

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Sarà capitato anche a voi di innamorarvi di certe canzoni tanto da non poterne fare a meno. Brani che riescono a evocare un tripudio di emozioni come nessun altro, che vi sembrano perfette, nella loro imperfezione e che, dopo aver masticato a lungo, non vedete l’ora di dare in pasto ai vostri amici dal palato buono, infilandoli in compilation non richieste, discussioni improbabili, post su facebook da due like. Succede che alcune di queste canzoni finiscano per fare schifo a quasi tutti quelli cui le fate ascoltare e allora, dopo averle difese a spada tratta, vi sedete con calma a chiedervi cosa avete trovato in queste note che gli altri non riescono a cogliere. Sono infiniti i pezzi che potrei citare, ma di seguito ho inserito alcuni di quelli che più continuano a darmi soddisfazioni e a farmi chiedere che cazzo ci troverò mai di bello. Ecco cinque canzoni brutte bellissime.

Ween – “Hello Johnny”

Vi avevo già parlato di loro sul finire dello scorso anno. Una band statunitense nata nella prima metà degli Ottanta, forse non troppo conosciuta ma che merita assolutamente la vostra attenzione, soprattutto per una spiccata capacità di parodiare un’infinità di generi musicali. Proprio questo fanno con maestria nel mastodontico album Caesar Demos del 2011, che è quello che contiene (penultima traccia) il brano in questione, “Hello Johnny”. Un irresistibile brano ripetitivo e repellente, tra glitch e sonorità Folk, che suona piuttosto come una presa per il culo, dal testo fino alla musica, ma dal quale non riesco a fare a meno di farmi prendere per il culo.

Bloodhound Gang – “Three Point, One Four”

Al contrario del pezzo precedente, questo della Gang è il classico che ogni appassionato serio e competente riterrebbe un pezzo orrendo ma che farà divertire e innamorare tutti gli altri. Per una volta, anche me. Jimmy Pop e soci mi fanno parecchio schifo, a dirla tutta, eppure adoro quell’aria da cazzoni che trasuda da ogni brano o video. Questo pezzo è la summa di tutto questo, il manifesto di una band che ha scritto un’infinità di pessime canzoni senza mai togliersi quell’aria strafottente che finisce per farmeli adorare. Questo è il ritornello, se volete farvi un’idea di quello di cui sto parlando: ”Ho bisogno di trovare una nuova vagina, qualsiasi tipo di nuovo la vagina. È difficile rimare una parola come vagina. Calvin Klein? Tipo North Carolina”.

Shit and Shine – “Practicing to Be a Doctor”

Dischi e pezzi veramente brutti, la band britannica (diciamo così) che ruota attorno alla figura di Craig Clouse ma che è, nel concreto, un collettivo cangiante che spesso si avvale anche di più batteristi in contemporanea, ne ha fatti molti, a essere onesti. Certamente più di quanti non siano i capolavori che è stata capace di tirare fuori. Nonostante questo, nutro un’ammirazione cieca verso di loro e inserirli in un contesto come questo è una sorta di prova d’amore. In effetti, “Practicing to Be a Doctor” è una delle cose migliori mai registrate dagli Shit and Shine, presente in quello che, insieme a Ladybird, è il massimo della loro produzione. Allora perché è qui? Se non lo avete mai ascoltato, fatelo e capirete. Una delle prime volte che mi è stato chiesto di fare il Dj (selezionatore, meglio) a una festa, l’ho piazzato alla fine, quando mi hanno detto ultimo pezzo che si chiude!!!. Le reazioni sono state stupore, fastidio, rabbia, sarcasmo. Per oltre mezz’ora, sei batteristi ripetono un ritmo marziale sullo sfondo di freddi e taglienti suoni e rumori e un riff ripetitivo, ossessionante, angosciante. Adorable.

Mathew Lee Cothran – “No Way Out”

Mi sono imbattuto per caso in questo statunitense, quasi sconosciuto, di Spartanburg classe 1988, ammaliato dall’orrida copertina del suo primo (di due) Ep Failure (fallimento). Assente su Facebook (se non come Coma Cinema ed Elvis Depressedly) e con un brano che, su youtube, non arriva a seimila visualizzazioni, si presenta come un personaggio di quelli che uno come me non può che ammirare. Poi ci si mette un pezzo come “No Way Out”, un brano nato male, Lo-Fi all’estremo, con una struttura sbagliata, dall’inizio alla fine, ripetitivo ma brevissimo e un testo da togliervi la gioia di vivere: “E quello in cui credo mi ha mandato a puttane, angeli morti in sogno. Mi faccio a pezzi. Non c’è via d’uscita”.

Car Seat Headrest – “Stop Smoking”

Anche nel caso di Will Barnes, sembra un azzardo definire la sua musica “brutta”, semplicemente perché lo è già nelle intenzioni. Musica dall’estetica sgradevole ma che riesce a sprigionare un fascino immenso. “Stop Smoking” è contenuta nell’album del 2011, Twin Fantasy ed ha qualcosa di diverso dal resto della sua produzione, a partire dal testo che si riduce alle sole, banali, parole smettila di fumare, ti vogliamo bene. Non vogliamo che tu muoia. Che cazzo di testo è, vi chiederete? Non è neanche un testo, non è una poesia, non è nulla, ma è un nulla che, con quelle note sbilenche a far da sfondo, suona come tutto quello di cui ho bisogno.

Last modified: 20 Febbraio 2019