Bonobo – Migration

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Chiudere gli occhi e tirare un sospiro profondo, riaprirli, e ritrovarsi a guardare fuori da un finestrino impolverato, immagini che scorrono veloci e riconoscere in esse paesaggi lontani, inaspettati, quasi esotici. E rimanere lì a osservare  quell’orizzonte che si perde e si confonde alla vista, sentendo sulla pelle il calore della luce intensa e accecante del mattino e lasciandosi rapire dai colori di fervidi tramonti. Trovarsi in viaggio, e sentirsi a casa, avvolti nel tempo che vivo, riempie ogni vuoto.

Migration, il nuovo album del producer londinese Simon Green in arte Bonobo, è tutto questo, un viaggio di suoni pastosi, ritmiche definite e morbidi arpeggi, prodotti con un’estrema eleganza e raffinatezza. A due anni dall’ep Frashligh e a tre da The North Borders il progetto di Bonobo raggiunge, in questo sesto lavoro, una completezza spiazzante. Non solo riesce a rimanere fedele al proprio immaginario sonoro consolidato nel corso degli anni, a quel downtempo arricchito di Soul e Trip Hop, ma si spinge oltre riuscendo ad evolvere andando a toccare e mescolare l’Elettronica corposa e rotonda con la modernità del Pop e le atmosfere orchestrali e rallentate dell’Ambient. Da questo punto di vista i featuring sono tutte scelte estremamente ponderate, volte alla ricerca dell’armonia e del reciproco contatto tra suoni e parole. In generale , infatti, le voci che accompagnano i brani,  sostengono la parte melodica e rafforzano l’impatto emotivo, senza prenderne mai il sopravvento. Così troviamo in “Breack Apart” la morbidezza del cantante Mike Milosh, del duo R&B Rhye, che si muove leggero su un loop di arpe, o la splendida voce di Nicole Miglis, degli Hundred Waters, che sposa alla perfezione le vibrazioni positive e sognanti di “Surface”. Nick Murphy (aka Chaet Faker) porta in “Reason” la vena più pop, aumentando in maniera decisa il potenziale di un brano musicalmente minimale e sintetico. Inusuale e non perfettamente centrato è invece la collaborazione con Innov Gnawa in “Bambro Koyo Ganda” in cui il tema ricco di groove e funky si arricchisce, in maniera troppo superficiale, dello stile e delle voci del collettivo marocchino.

Sullo stesso mood che attinge alla world music, ma sicuramente più interessante, è invece “Kerala” che grazie alla scelta di incastrare semplici sample vocali all’interno di pattern di suoni d’ispirazione naturalistica in loop, tende la mano al misticismo ispirazionale proprio del lounge. Tra le tracce ricche di influenze e suggestioni visive troviamo anche “Second Sun”, qui la delicatezza e il tepore dei suoni accompagnati dal lento risveglio degli archi ci portano dritti su un altopiano del Ladakh, a sorprenderci di quanta bellezza il mondo ci possa offrire. “Grain” e “Ontario” sono, invece, due buoni esempi in cui il l’autore mostra questa la sua grande capacità di lavorare con la materia sonora, tagliando e ricomponendo gli elementi della tradizione in soluzioni nuove. Nel primo brano lo fa, offrendo un ascolto ricco  che oscillana al contempo, tra il sacro dei cori e il profano della terra e del grano, attraverso la costruzione di una crescente tensione che vive di voci spezzate, ritmiche alterate e suoni profondi, mentre nel secondo l’effetto straniante, soprattuto rispetto all’imaginario legato all’Ontario, avviene attraverso la creazione un tappeto sonoro distonico che  accosta accordi di piano sghembi, frasi di sitar in continua ripetizione e un ritmo in crescendo. 

Migration è un album caldo e avvolgente, che rappresenta la somma di un lungo percorso, fatto di coerenza e sapienza, che non tradisce le radici e la tradizione da cui attinge a pienissime mani, ma che prova in molti casi svilupparsi in variegate soluzioni sonore. Sebbene non tutti i brani raggiungano lo stesso livello qualitativo e di coinvolgimento emotivo vale la pena lasciarsi trasportare dalla positività contagiosa e dalla ricchezza immaginifica di Bonobo.

Last modified: 20 Febbraio 2019

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