Aphex Twin – Syro

Written by Recensioni

Molto è già stato detto a proposito di “Syro”, ma discretamente spettacolare è senz’altro la definizione più improbabile tra quelle che ho avuto modo di udire.
[ 19.09.2014 | Warp | chillwave, glitch ]

Molto è già stato detto a proposito di Syro, ma “discretamente spettacolare” è senz’altro la definizione più improbabile tra quelle che ho avuto modo di udire. Al cospetto di Aphex Twin il timore reverenziale prende il sopravvento e il critico si arrampica sugli specchi scalandoli a suon di ossimori. Credo di poter affermare con una buona dose di certezza che, in questi tredici anni che lo separano da Drukqs, nessuno di noi ha avuto alcun dubbio sul fatto che l’atteso ritorno di Richard David James in versione Aphex avrebbe confermato la qualità delle sue produzioni, indiscutibilmente impeccabili dal punto di vista tecnico per ognuno dei moniker dietro cui si è celato in questi anni. Il problema però è che quando sei uno che ha in curriculum almeno un paio di album che definire stelle nel firmamento musicale dell’era moderna è riduttivo, poiché si tratta piuttosto di comete dalla lunga e feconda coda, se non di veri e propri Big Bang da cui è schizzato fuori il futuro, quand’è così non puoi tenerci tutti sulla corda per oltre un decennio e poi sperare cavartela con un disco come Syro. Dopo un primo ascolto che mi lascia nello stato d’animo con cui formulo i pensieri impuri di cui sopra, mi viene da prendere il primo aereo per Londra per andare a citofonargli e chiedergli il perché, ma in redazione giudicano la mia trovata un tantino fuori budget, per cui mestamente ripongo la valigia e per capirci qualcosa in più sono costretta ad attendere di poter spulciare la lunga intervista di Philip Sherburne (http://pitchfork.com/features/cover-story/reader/aphex-twin/#cover ). È vero, assimilare i risultati dell’estro schizofrenico dell’uomo noto ai più come Aphex Twin, incasellare dischi come Selected Ambient Works 85-92 nel panorama dei generi, e ancor più comprenderne con lungimiranza gli effetti, non è mai stata cosa immediata. Pare che le registrazioni abbiano occupato gli ultimi sette anni. A sentirlo però, Syro non ha affatto la faccia di una produzione spalmata su un arco temporale così ampio. Sebbene sia stato confezionato passando per ben sei diversi studi e saltellando come di consueto tra svariati universi sonori, si tratta di un’opera tutto sommato omogenea, ed è questo uno dei fattori che la rende il lavoro più accessibile tra quelli di Richard. Non ci sono le grida raccapriccianti di “Come To Daddy”, non c’è l’impasto sonoro viscoso di “Window Licker”. Pop friendly e senz’anima, questo è quanto al primo impatto, e non è certo la foggia con cui ci si aspettava di vederlo tornare dopo l’Ambient sopraffino di Drukqs. Oh sì, Richard caro, se mi avessi invitata a cena al posto di Pitchfork il mio sarebbe stato un vero e proprio cazziatone. Consapevole lui stesso che di innovazione non si tratta, Aphex definisce Syro conclusivo di una fase, un gesto doveroso prima di poter aprire il nuovo, nuovissimo capitolo che dice di avere in serbo – which is kind of uncategorizable, stando alle sue parole – in linea con la leggenda che narra dei suoi hard disk pieni zeppi di materiale inedito che si rigenera in perpetuo.

La tracklist evoca i gingilli dell’elettronica primordiale (“CIRCLONT6A [141.98]”, “CIRCLONT14 [152.97]”, lo stesso singolo “minipops 67 [120.2]”), di cui come consueto Aphex fa largo uso. Gli si perdona l’ossessione per il passato, comun denominatore della contemporanea elettronica e non solo, perché lui è il passato. In lui la devozione all’analogico è un fattore che rende il prodotto finale atemporale e riconoscibile, nelle sue geniali opere di mixaggio abilmente calibrate e irripetibili di esperienze sonore estremamente distanti. Ma Syro rompe schemi che Richard James ha già mandato in frantumi da tempo. Ciò lo rende poco più di un elegante esercizio di stile, in cui per giunta non si prodiga in episodi memorabili. Nella sua chiacchierata con Sherburne, Richard rimpiange gli anni della Rave culture, quando l’evoluzione della scena musicale seguiva il suo corso senza le interferenze di internet che rende i progressi compiuti accessibili a tutti ma contemporaneamente tutto appiattisce: The holy grail for a music fan, I think, is to hear music from another planet, which has not been influenced by us whatsoever. Or, even better, from lots of different planets. And the closest we got to that was before the Internet, when people didn’t know of each other’s existence. Now, that doesn’t really happen. Che in altre parole suona un po’ come un “Ok, comprendo perfettamente la vostra ricerca spasmodica per il ‘mai udito prima’, ma il web è un calderone di ispirazioni di cui si fa un uso sconsiderato e arido, ed è per questo che poi succede che Syro non risulta essere la ‘musica da un altro pianeta’ che l’intero pianeta si aspettava da me”. Eccoci perciò di fronte a un disco che fluisce pulito e puntuale, in atmosfere certo più fruibili che in passato sebbene a volte i tempi risultino eccessivamente dilatati, come in “XMAS_EVET10 [120][thanaton3 mix]”, che esordisce frenetica per poi dilungarsi a declinare il tema in matasse di synth. Alcuni episodi garantiscono la nota inquietante, come il ritmo pulsante e asimmetrico dei glitch sui vocalizzi robotici di “CIRCLONT6A [141.98]”. “syro u473t8+e [141.98]” viaggia invece sul tracciato Electro battuto nell’ultimo decennio dagli EP Analord. C’è spazio anche per divagazioni Space Funk (“minipops 67 [120.2]”) e Drum’n’Bass magnetica e caotica (“s950tx16wasr10 [163.97]”), con tregue di sensuale Chillwave (“produk 29 [101]”). Un saggio completo delle proprie capacità eseguito magistralmente, che lascia però perplessi, e quasi ci persuade del fatto che sia il caso di maledire il progresso se per avere internet sul telefonino il prezzo da pagare sia un Aphex che non riesce più a rigenerarsi. In realtà tra Drukqs e Syro ci sono state un sacco di cose oltre alla musica e all’avvento del web. C’è la Scozia, e poi una moglie e due bambini, di cui campiona le voci per incastonarle nei suoi esperimenti, distorte e irriconoscibili ma molto presenti (pare che dai suoi lombi sia venuto fuori un ragazzino che ora ha 6 anni e fa anche lui musica, col suo Mac e una versione pirata di Renoise che si è procurato autonomamente). Quasi in chiusura, “aisatsana [102]” si scioglie in Downtempo a base di piano, parentesi catartica più unica che rara in Syro. La traccia che ha per nome l’anagramma di quello di sua moglie Anastasia nasconde forse il germe della metamorfosi da lui annunciata? Non so se riuscirò ad aspettare altri tredici anni per poterlo scoprire. Daje Richard.

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Last modified: 26 Aprile 2020

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