Afterhours – Padania

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Xavier è “rientrato nel gruppo”, la Lega si sta sfaldando sotto la mazzata della Family del Bossi Ladrone e la Padania degli Afterhours urla forte il suo concentrato di rabbia e splendore; la musica va in malora, i dischi non si vendono più, e il downloading non può sostituire i dischi, o meglio gli album. Quello che si carica sono solo canzoni e degli album non gliene frega più niente a nessuno, e quei pochi che escono sono additati di essere solo prodotti da vendere, merce di scambio tra scaglionamenti e ore da passare con qualcosa pur di farle passare, ma i nostri milanesi se ne fregano altamente di stare dietro alle metriche di giudizio e sdoganano un disco straordinariamente “oltraggioso”, oltre i limiti e ancor più in la della sperimentazione delle parole e della sonorizzazione, un disco che non affonda su residue speranze di redenzione ma che affonda il coltello sonico su cazzate e manfrine con la pazzia dell’intelligenza.

Disco di esplosioni, spettri urlanti, clangori, vesciche aperte ed echi squadrati di Area e Demetrio Stratos Metamorfosi e rumori che prendono gola e bocchetta dello stomaco come un pugno dato all’improvviso tra malessere e delirio esistenziale; si lo sperimentare un qualcosa che non si lasci irretire dalle grinfie del consueto è forza di maggioranza in questa tracklist veemente, una forza strana e straniante che pulsa come una carotide al limite dell’ingrossamento e accarezza con tenerezza come una mano incallita che imbraccia una chitarra acustica e comincia a spennarla con gli occhi lucidi di amarezza “Padania”, una forza tracimante nella voce di Manuel Agnelli che agita l’illusione elettrica dell’incredibilità che nulla potrà essere più come era prima “La tempesta”.        

Traendo ispirazione dalla degradazione in un certo modo etico-sociale, il disco si colora di tinte fosche, poche concessioni alle feste elettriche, ma una considerazione rarefatta e pregevole che si rivolta dentro, scruta e s’incazza per questo mondo fragile come un uovo e cretino come una esternazione del Trota, noise e squarciagola che ti si conficcano sullo sterno come una maledizione di dignità, pazzoide il giusto “Fosforo e blù”, “Spreca una vita”, spontaneità e genuinità in un misto di sclerosi amorale “Giu nei tuoi occhi” , i bimbi che gridano tra un casino alla NINIo so chi sono” e la presa istantanea di brani come la ballata increspata “La terra promessa si scioglie di colpo”, una intensità di pianoforte e tensione in sottofondo che torna a sottolineare il profondo prurito di culo che gli Afterhours soffrono nel vedere la fine – o se non proprio fine la vicinanza – di questa bella nostra terra a rasente del baratro, e  che secondo stime e spergiuri, di futuro non ne ha molto di riserva.

Stupendo disco,  una necessaria iniezione di adrenalina per combattere il declino della nostra/vostra/loro quotidianità.

Last modified: 23 Aprile 2012

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