Novembre, 2014 Archive

Il Video della Settimana: Rome in Reverse – “I Have Your Smell”

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Copenaghen è una città che nasconde molti stimoli, ma che pochi riescono a capire in fondo: questo è successo a Rome In Reverse, progetto di Antonella Pacifico e Elena Montomoli che si sono trovate risucchiate da questa situazione così legata alla tradizione ma allo stesso tempo improntata a scenari futuri. La musica Dance, Techno, il Dub e il Trip Hop sono le basi di Rome In Reverse e il loro album Loop And Reverse è un mix di queste influenze. Sebbene nella musica dance i loop siano le fondamenta, Rome in Reverse cerca di non banalizzare e non far diventare noiose le canzoni: vengono così arricchite dalla voce di Antonella che, con il sostegno di dettagli e suoni, rende le tracce dinamiche e armoniose. Rome In Reverse nasconde frammenti, ama il battito continuo e in levare, i reverberi e i delay, ama il digitale ma anche includere strumenti analogici, come le note calde della chitarra di Elena, che si avvolgono nei suoni. Ama l’arte visiva e le proiezioni minimali durante i concerti che, insieme alla musica, definiscono il mood.

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Le Strade, nuovo singolo disponibile su iTunes

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Da oggi, venerdì 28 novembre, è online su iTunes e sulle principali piattaforme digitali il brano “Campo 38”, nuovo singolo de Le Strade, la giovane band di Bologna che, dopo aver conquistato le attenzioni di pubblico e critica con l’Ep d’esordio In Fuga Verso il Confine e il successivo singolo “Come un Laser”, rilascia ora un nuovo inedito che rappresenta un ulteriore passo in avanti nel processo di maturazione artistica di una fra le più interessanti nuove band del panorama Pop-Rock italiano. “Campo 38”, che gode della produzione artistica di Marco Bertoni (Confusional Quartet), è una canzone potente, diretta e dal forte impatto espressivo ed evocativo. Un grido di denuncia contro ogni forma di prigionia, una minaccia tanto terribile quanto ormai vissuta come data, scontata, persino… normale. Un fenomeno complesso, esclusivamente umano, per certi versi profondo e radicato, che non si manifesta solo nella forma di reclusione fisica, ma che spesso e volentieri si amplifica e si confonde con quella psicologica. Il brano vuole raccontare cosa significhi non soltanto l’isolamento fisico, ma anche l’anonimato, l’alienazione, l’inesistenza mentale della condizione del prigioniero e la perdita di ogni forma d’identità e di coscienza.

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Max Manfredi – Dremong

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Appena cinquantadue secondi di “Intro Dremong” e si entra nel mondo visionario di Max Manfredi, artista che nel vinse la Targa Tenco Opera Prima con l’album Le Parole del Gatto. In una carriera di oltre due decenni tanti altri sono stati poi gli attestati di riconoscimento ottenuti (ci piace ricordare appena il Premio Regione Liguria come “capostipite della nuova generazione dei cantautori genovesi” nel 1995, il Premio Lunezia, il Premio Lo Cascio e “miglior solista” al MEI di Faenza nel 2005 e poi nuovamente il Premio Tenco come miglior disco dell’anno nel 2009 con l’album Luna Persa). Anche il pubblico ha comunque sempre creduto in lui, tanto da finanziare attraverso la piattaforma Musicraiser questo nuovo album, Dremong, che prende il nome da un orso che, a quanto pare, secondo una leggenda tibetana diedi i natali a quello che più comunemente chiamiamo Yeti. Fiducia incommensurabile quindi verso un artista che non ha mai deluso le aspettative dei propri fan. Del resto anche Fabrizio De André, rispondendo a una domanda sui cantautori italiani, lo aveva dipinto come “il più bravo” (“Gazzetta del Lunedì” il 23/6/1997), mentre Roberto Vecchioni lo ha definito “un capostipite (…), uno che ha bazzicato col romanzo, con la poesia, col dialettale, con la canzone e senza, un capace, uno che non posso nemmeno limitare con il termine di cantautore”. La vetta della qualità si raggiunge già con la titletrack che non a caso è la seconda in ordine cronologico, ma guai a sottovalutare anche l’armonica “Disgelo” o l’inquieta “Notte”. Testi raffinati ed atmosfere inusuali pervadono l’ascolto di questo disco “inquieto” soprattutto quando ci si immerge nella “medievale” “Sangue di Drago” o in “Finisterre” che prende il nome dal famoso comune spagnolo situato nella Galizia. Tredici nuove canzoni per lo più scritte in binomio con Fabrizio Ugas, con cui c’è un rapporto lavorativo che ormai dura da diversi anni e che si adopera anche alla chitarra classica ed acustica, al laud cubano e ai cori. Tante altre però sono le persone coinvolte però in questo progetto (l’elenco sarebbe troppo lungo per poterle menzionare tutte) che spazia dalla musica etnica alla pura contaminazione sonora del progressive anni settanta senza trascurare il lato oscuro del Rock passando per strumenti strumenti tradizionali come il glockenspiel, la concertina, gli orientali gu-qin e go-zen, i flauti, il violino, la batteria, le percussioni e il basso fretless. Se proprio volessimo quindi circoncidere il disco in un solo genere potremmo quasi farlo includendolo nella cosiddetta world music (anche se forse sconfineremmo leggermente). Sicuramente non avrebbe sfigurato se fosse stato pubblicato da una grande major del settore quale la Real World di Peter Gabriel. Una produzione pressoché perfetta curata nei minimi dettagli da Primigenia Produzioni ed un nuovo capitolo aperto da un grande cantautore quale Max Manfredi. Intanto noi aspettiamo già il suo seguito…

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The Heart and the Void – A Softer Skin

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Secondo EP per il sardo Enrico Spanu, che in sei tracce di rarefatto folk ci racconta l’amore nelle sue più diverse sfaccettature: L’amore come un errore in cui si ricade continuamente. Un amore passato ma mai realmente dimenticato. Un amore filiale. Un amore verso una persona che ormai non lo ricambia più. Un amore verso una persona che non si potrà mai avere. Un amore incondizionato per il quale si rinuncia a tutto. Il disco scorre tranquillo, sognante e semplice, fondato principalmente su chitarre in fingerpicking e una voce limpida, romantica, con liriche in inglese (in “This Thunder” sentiamo aggiungersi una leggera batteria, mentre cambiamo marcia in “Down to the Ground”: chitarra – elettrica – sporca, sonaglio e un suono d’organo in sottofondo). Non c’è molto altro da dire su A Softer Skin, un disco che fa della semplicità un motivo d’esistenza. Normalmente prodotti del genere mi stufano presto, immersi come siamo in un mondo saturato di cantastorie con la chitarra in braccio che fanno il verso ai songwriter anglosassoni, per la maggior parte delle volte anche in modo soddisfacente, per carità… ma alla fine ci si chiede perché ascoltarne cento diversi quando si può esaurire praticamente tutto il campionario con una rapida carrellata tra Bob Dylan e Damien Rice, passando da certe cose dei Decemberists? Ecco, questa volta faccio una piccola eccezione per The Heart and the Void, che anche senza uscire dai soliti binari, senza particolari guizzi o chissà che innovazioni, riesce a farci passare i suoi venti minuti con dolcezza. Se vi piace quel mondo lì, dategli una chance, non ve ne pentirete.

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E’ uscito Monemi di Andrea Ceccomori

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E’ uscito su Itunes e sulle principali piattaforme digitali Monemi: un album per flauto solo nato dalla ricerca e dalla creatività di Andrea Ceccomori che, ripercorrendo alcuni brani della letteratura flautistica classica e contemporanea, è voluto andare alla ricerca della radice più profonda del suono, di quegli elementi fondamentali ed indivisibili che formano la minima unità di senso musicale. Una sorta di grammatica della musica e degli strumenti che la musica utilizza per accedere al fondo dell’anima dell’ascoltatore. Dalla terza maggiore in Telemann, alla suddivisione interna in Mozart; dalla coppia di crome in Tutino, all’arco politonale in Bozza; dal movimento semitonale in Varese al il movimento sinuoso in Jolivet e all’alternanza fissità/espansione in Fukushima. Quattro poi i brani dello stesso Ceccomori, uno dei quali, Monemi appunto, da il titolo all’album ed è l’unico ad ospitare anche il suono dell’arpa, degli archi e dell’elettronica combinati in una scrittura di vaporose microcellule. Romancona, invece, è ispirato al cigolio dei vagoni del treno; mentre Tetraktys (un concetto e un termine di agostiniana memoria) utilizza la figura classica della quartina di semicrome. E Turn Around è costruito sul giro degli arpeggi

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Andrea Arnoldi & Il Peso del Corpo, il video che anticipa l’album

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Cantautorato acustico in punta di chitarra. E poi violoncelli guizzanti, organetti, sitar e theremin. Undici canzoni sulla morte dalle parole lievi, ma dense e definitive, che si nutrono di letteratura e della “meraviglia / di amar qualcosa che non mi somiglia”. Le Cose Vanno Usate le Persone Vanno Amate è il nuovo lavoro di Andrea Arnoldi & Il Peso del Corpo, in uscita il 4 dicembre in rigorosa autoproduzione e anticipato dal singolo “L’Ortica” disponibile da oggi su YouTube . Il cantautore bergamasco ha scritto, cantato e arrangiato insieme al suo ensemble di musicisti denominato il peso del corpo undici canzoni di cantautorato lieve, mai urlato (semmai cantato in coro), dove si suona in punta di chitarra acustica e si cantano parole quiete, ma dense e definitive.

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Colapesce, nuovo disco nel 2015

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I “maledetti Italiani” siamo noi, tutti, senza eccezione: avviluppati in un’identità nazionale che è tanto più forte quanto più è fragile il nostro sentirci comunità. Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo, il musicista siciliano che nel 2012 ha conquistato pubblico e critica con il suo debutto Un Meraviglioso Declino (che in quello stesso anno ha vinto la Targa Tenco come miglior album d’esordio e numerosi altri premi), torna a farsi sentire dopo una lunga pausa. E lo fa proprio con un brano che è allo stesso tempo un manifesto programmatico, una dichiarazione di appartenenza e un atto d’accusa: verso se stesso, il maledetto me, e verso il paese che ha nutrito e cresciuto la sua musica. Il nuovo disco è previsto nel 2015.

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Il ritorno dei Thomas con Fin

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Registrato e prodotto dallo stesso cantante della band, Massimiliano Zaccone tra Acqui Terme e Torino negli studi Audiomokette, Fin mostra sempre lo stampo caratteristico della band dai tratti Funk e Groove aggiungendo un tocco più psichedelico e riflessivo. Gli undici brani dal tocco pop rappresentativo dei Thomas dagli esordi presentano una produzione ricercata nel suono e nella composizione, non mancano inoltre le collaborazioni che vedono anche l’incursione di strumenti atipici quali il violino grazie alla partecipazione di Alex Leonte, mentre troviamo Matteo Cerboncini alla chitarra solista e la sezione dei fiati è affidata alla Bandarotta Fraudolenta.

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Don Boskov – Istruzioni Per Allontanarsi Ancora Un Po’

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I Don Boskov vengono da Terni, Umbria, la regione che fa Stato a sé tanti sono i gruppi che dà lì provengono, tutti autori di un sound di una qualità che scavalca di parecchio quello della musica odierna sfornata nel nostro Paese. L’EP d’esordio Istruzioni Per Allontanarsi Ancora Un Po’ ci regala un succulento Emo/Postcore sulla scia dei Gazebo Penguins e dei Chambers. A differenza di quest’ultimi la componente Math Rock è ridotta al minimo, a favore di sonorità più dirette, come dirette sono le liriche che, senza troppi giri di parole, ci vengono sputate in faccia brutalmente. E’ facile riconoscere gli At The Drive-In nel brano di apertura “Tutti Hanno Già Deciso Per Gli Altri”, anche se le loro influenze vengono mescolate in un calderone arricchito dai diktat dello Screamo italiano. La successiva “Caverna” ha un inizio soffuso con la chitarra armoniosa che stona piacevolmente con le parole disperate gridate da Matteo. La più calma delle cinque canzoni presenti sul disco è senza dubbio “La Miseria Dell’Inverno”, dove la batteria rimane silente in disparte prima di emergere ruvida in tutta la sua violenza. “A Casa Anche Oggi” ci regala un po’ di melodia senza destabilizzare l’ascoltatore, ormai preda di spasmi sonori irrefrenabili. L’ultimo brano “Antenna” è anche il più articolato visti i numerosi cambi di tempo ed atmosfera, mostrandoci il lato camaleontico del sestetto umbro, capace di passare dai Glassjaw ai Fine Before You Came con una naturalezza disarmante. Un EP che sa già di consacrazione. Alla faccia del mainstream e di chi si ostina a sottovalutare la scena indipendente italiana.

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I Katmai tornano sulla scena con Abitudini

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Dopo la vittoria a Rock Targato Italia nel 2010 e i palchi condivisi con Motel Connection, Fluon, Ricky Portera, Lombroso e Sasha Torrisi, questo nuovo lavoro è il frutto di mesi di prove e registrazioni in diversi studi nell’area di Milano con la collaborazione di RnO (produzione artistica, mix), Matteo Sandri (rec e mix, Mono Studio), Frank Libertino (mix, 99Studio), Andrea Lapiccirella (rec voci e archi) e Giovanni Versari (mastering, La Maestà Studio). Sei tracce autoprodotte racchiuse in un album che mostra la cura del dettaglio, la volontà di non lasciare nulla al caso, di ricercare sonorità nuove, rimanendo sempre fedeli alle radici del Pop/Rock italiano, genere al quale i Katmai fanno riferimento fin dagli esordi. Il titolo racchiude l’essenza di questo lavoro, porta in sé tutto quello che per la band milanese è fare musica, un’abitudine, che vuole essere condivisa in ogni momento della giornata, nella quotidianità di ogni ascoltatore. Abitudini definisce i Katmai come contemporanei, sempre con il desiderio di raccontare esperienze, dolori e amori nelle loro molteplici sfaccettature, la ricerca di un’emozione, di un riscontro, di un brivido oltre il palco. Più maturi e critici, nella stesura e negli arrangiamenti, ma sempre riconoscibili nel sound: dai ritmi intensi di Minime abitudini e Tradimento, all’avvolgente ballata Sottovoce, lasciando spazio alla contaminazione di sintetizzatori in Devo, aprendo verso dissonanze più ricercate con Sospiri o puntando sul Rock potente di Blackout. Dal 29 novembre, in occasione dello spettacolo dal vivo che presenteranno alle Scimmie, storica vetrina musicale a Milano, sarà possibile scaricare Abitudini dalla pagina bandcamp del gruppo (katmairockband.bandcamp.com), e, successivamente, da tutti gli store digitali.

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Nadàr Solo – Fame

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I Nadàr Solo sono tre giovani musicisti di Torino, città caratterizzata da un underground musicale vivace e fervido, sostenuto da un discreto numero di locali e realtà pubbliche e private, oltre che da un pubblico di giovani curiosi, studenti, appassionati. Una bella scena. E il terzetto non è di certo di primo pelo. Han ormai anni di carriera alle spalle, costellate di esibizioni, recensioni e collaborazioni di un certo pregio nel panorama musicale nostrano, come quella con Pierpaolo Capovilla. Non stupisce quindi di far partire Fame e trovarsi davanti a un disco ben fatto, ben registrato e ben prodotto. Naturalmente a una band non basta una buona confezione e una buona reputazione. “La Vita Funziona da Sé” ha quell’alone di precariato e instabilità tanto caro all’Alternative nostrano. I tempi sono quelli, in fondo, e non ci si può certo inventare una realtà diversa. Il cantato di Matteo De Simone è in rima, espediente che usa spesso nel corso del disco per la costruzione delle liriche, come anche nella successiva “Non Volevo”, dal tenore ben più scanzonato e canzonatorio. Dall’Alternative Rock arriviamo al Cantautorato con “Cara Madre”, che cede il passo a “Jack lo Stupratore” con le sue sonorità Post Punk anni 2000, pulite pur nella distorsione, le chitarre di contrappunto, ben utilizzate e la voce che sottolinea il sarcasmo su cui è costruito il violentissimo testo. Il ritornello è ridotto a una sola frase reiterata densa di significato ma risulta quasi svuotato dalla sua funzione mnemonica, perché sempre diversa. I testi dei Nadàr Solo sono articolati: lessico altisonante alla Marlene Kuntz e costruzione della frase in stile Il Teatro degli Orrori.

“La Gente Muore”, ha un incalzante andamento in levare scandito dall’intrecciarsi melodico delle chitarre sulla sezione ritmica, mentre colpisce il riff iniziale di “Piano Piano Piano”. Spesso i testi del trio non sono immediatamente intellegibili: i Nadàr Solo sembrano voler dire troppe cose, che non possono comprimersi nello spazio di un verso. Il risultato è un cantato con una scansione sillabica rigida e velocissima, poco ariosa e che non si concede mai un virtuosismo. E stupisce, da astigiana quale io sono, sentire un torinese descrivere la “Ricca Provincia” con tanta amarezza e tanto realismo: una riflessione lucida sulle piccole realtà cittadine, stereotipate e ancorate ai propri stereotipi per definizione stessa, condizioni e modi di fare d’uso, cristallizzati nel tempo e immutabili. Musicalmente ben costruita è “Akai”: sempre in tensione, come in un climax continuo che non trova mai risoluzione, se non forse, per continuità, nella seguente “Splendida Idea”. Davvero pregevole è “Shhh”, un crogiolo di stilemi Indie padroneggiati alla perfezione, in un risultato che richiama quasi gli ultimi Arctic Monkeys – che non saranno al top della forma, ma sono pur sempre gli Arctic Monkeys.

Il disco chiude in sordina, con le sonorità acustiche e Pop di “Non Sei Libero”. Fame val bene un ascolto. Non è il disco della vita e non piazza i Nadàr Solo in nessun qualsivoglia Olimpo musicale. Ma rende indubbiamente giustizia a tre bravi strumentisti, capace di cogliere il mood quotidiano di una gioventù precaria e instabile, in una realtà a volte stantia, a volte distorta, a volte violenta. Se vi capita, concedetegli mezz’ora del vostro tempo.

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La Band della Settimana: Solenoidi

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Nati a Roma nel 2009 dall’integrazione delle eterogenee esperienze musicali di Salvatore Argiolas, Simone Guidi e Manlio Perugini, i Solenoidi gettano nello stesso anno le basi del loro sound con l’ingresso di Eugenio Frasca alla batteria. La band ha così modo di costituire un repertorio proprio e iniziare un’attività live, trovandovi la propria dimensione ideale. Nel 2010 i Solenoidi autoproducono presso Delta Top l’EP Tungsteno che incontra un deciso consenso e un incoraggiamento da parte della critica. Con l’ingresso alla batteria di Antonio Belli, nel 2012, la band prosegue l’attività compositiva, indurendo e precisando il proprio sound. Prendono parte a numerosi concerti, festival e iniziative nella capitale, che li portano a calcare i maggiori palcoscenici romani.

Dopo la separazione da Belli, nel 2013, la band si dedica ulteriormente a raffinare la propria identità musicale, e grazie alla collaborazione con Andy Bartolucci vede la luce Gravitazioni, sintesi finale delle componenti originarie, maturate attraverso una costante crescita artistica. Il sound autentico e vigoroso del loro Rock è il risultato della contaminazione tra passato e presente, in un mix costante di Classic eAlternative Rock dominato da chitarre distorte e fendenti di basso, e accompagnato da un accurato lavoro poetico sui testi.

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