Marzo, 2014 Archive

Is Tropical a Parma il 25 aprile!

Written by Senza categoria

Il trio londinese aveva sorpreso tutti con il loro Native To, uscito due anni fa per Kitsunè, e che li aveva portati a suonare in tutti gli angoli del globo, trascinato da singoli come “The Greeks” (e lo spettacolare video by Megaforce) e “South Pacific”. Ora, dopo un EP e aver messo mano a tanti remix e produzioni, i tre scapestrati di Londra tornano in Italia con il seguito di quell’album d’esordio, dal titolo I’m Leaving. Potrete sentire gli Is Tropical a Parma, al Pulp, il prossimo 25 aprile.

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À L’Aube Fluorescente – Brand New Stupid Words [VIDEOCLIP]

Written by Anteprime

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In anteprima e in esclusiva per Rockambula, vi presentiamo il nuovo videoclip della band Alternative Rock abruzzese À L’Aube Fluorescente, clip tratta dal brano “Brand New Stupid Words” (Over Dub Recordings). Il video è stato scritto e diretto da Stonino LilBrosky Bosco mentre il brano è stato registrato, prodotto e mixato negli studi ACME Recording da Davide Rosati.

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Bologna Violenta 15/03/2014

Written by Live Report

Il 15 marzo era una data che aspettavo da molto tempo; da almeno due anni infatti (a meno che la memoria non mi faccia brutti scherzi) Nicola Manzan alias Bologna Violenta non si faceva vedere da queste parti. A dare un ulteriore valore a questo week-end si è aggiunta, inoltre, la visita inaspettata in uno special guest ti tutto rispetto con il quale ho il piacere di avere in comune parte del patrimonio genetico, ma questa è un’altra storia. Come spesso accade mi trovavo al Blah Blah, ed il pubblico che animava i portici e l’interno del locale, quella sera, era davvero molto variegato: abbigliamenti “normali” affiancati a look sovversivi da pirata, con comparse sporadiche di chiome dal colore cangiante, dal blu elettrico al rosso vivo.

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Mi sento comunque di dire che il colore predominante era il nero, nella sua variante di nero con borchie. Anch’ io per l’occasione ho deciso di sfoderare il mio finto pellame da combattimento lasciando però le borchie a casa; non avrei mai voluto esagerare con la sobrietà. Tra i look “estremi” che mi circondano, vince il primo premio quello del tizio capellone e cotonato che mi ritrovo davanti durante il concerto, e che per l’occasione ho deciso di ribattezzare “Mufasa” (chi come me ha passato parte dell’infanzia a piangere durante la visione del Re Leone sa di cosa parlo). Il concerto è aperto dai Seitanist, ma l’attesa è tutta per Bologna Violenta che presto si palesa sul palco carico di strumenti accompagnato da Nunzia, carichissima anche lei. Un brevissimo soundcheck  per Nicola, e poi subito si riparte.

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Uno Bianca, l’ultimo album di Manzan, viene suonato per intero, senza interruzione: 27 brani di pura violenza emotiva per raccontare uno dei peggiori fatti di cronaca nera avvenuti in Italia, accompagnati da immagini di repertorio, video di quegli anni e scritte essenziali che meglio aiutano a descrivere i fatti e a comprendere la tragicità degli eventi. Si tratta di video minimalisti, essenziali nella loro forma, di contorno alla vera protagonista che rimane sempre e comunque la musica, che da sola riesce davvero a narrare e ad esprimere tutta l’angoscia, la violenza ed il terrore legato a quegli anni tristissimi. Terminata la performance legata ad Uno Bianca, Manzan procede con alcuni pezzi memorabili tratti dagli ultimi suoi due album; in questo caso i video di accompagnamento alla musica si fanno decisamente più espliciti sia nelle immagini che nei contenuti (Manzan non ti perdonerò mai per avermi fatto assistere alla decapitazione di un toro! Sappilo!). Terminato il concerto, Mufasa ed il suo branco assalgono BV con le loro domande. Io passo a salutare Nunzia nell’area “merch” e subito dopo raggiungo anch’io il mio branco. Mentre mi perdo in un interminabile monologo interiore di cui questo live report è figlio, penso che stavolta Manzan abbia superato sé stesso dando vita non solo and un album degno di nota, ma mettendo in scena un vero e proprio “spettacolo” dal forte valore emotivo, capace di coinvolgere anche i meno amanti del genere; un qualcosa che va oltre un semplice concerto, e che è legato in qualche modo col concetto di Memoria, per non dimenticare ciò che è stato, per fare in modo che non accada più.

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Ecole Du Ciel – Heartbeat War Drum

Written by Recensioni

Ecole Du Ciel è un progetto nato nel 2010 a Bari dalle menti di Cosimo Savino (voce, chitarra) Chris Dilfino (batteria, percussioni) e Massimiliano Colamussi (basso, cori), che dopo il loro primo Ep omonimo, martellata Screamo Post Hardcore, ci consegna questo Heart War Drum scarno, combattuto, sanguinante, grondante di emozioni e sentimenti che in contrasto totale tra loro finiscono per dissolversi flebilmente nel vuoto. Resta un’unica certezza, lanciare un urlo stridente per dimostrare a se stessi la propria esistenza, la propria individualità. Apre ”Forever Up There” con un arpeggio di chitarra Post Rock e morbidi cori  fanno presagire un’atmosfera rassicurante; segue “ From My Farthest Shores” pezzo dinamico e distorto, dove le capacità collettive del trio pugliese di fondersi in un dolce frastuono, rendono evidente l’apertura verso altri lidi sonori e la voglia di sperimentare. “Stars Feed On Fire” è un fendente Post Hardcore dritto e veloce che termina in un caos urlato, si allenta il fiato con “Wheelboat” breve intermezzo etereo e quasi scanzonato dove la chitarra elettroacustica dialoga dolcemente con la sezione ritmica.

Ma sono solo due minuti: batteria dal battito epico, basso incalzante in pieno stile Post Punk, riff monocordi ed echi lontani scandiscono il tappeto sonoro della title track ,splendida jam session di sei minuti cadenzata da conati di vomito latrati, che ha il sapore di capolavoro. La conclusiva “Dead Leaves” (Milk Teeth) ci porta in territori Noise ammorbidito da certa psichedelia degli anni novanta(lontano un certo riflesso di Catartica) alternato da improvvisi silenzi un po’ snervantidelineandosi sempre più una progressiva lentezza. Sicuramente non brilleranno per totale originalità ma quello che ne esce è un manifesto di veridicità e schiettezza emotiva non comune. Il merito va anche alla v4v Records italianissima e scopritrice di talenti nel sempre più affollato e variegato panorama underground italiano.

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Antonio Allegro – Black Tuff

Written by Recensioni

“Panta Rei”. Tutto scorre. È questa la traccia iniziale, l’incipit di Black Tuff, il primo album del musicista e compositore Antonio Allegro; un concept che narra i primi trent’anni di vita dell’artista. “Panta Rei”. Tutto scorre. È impossibile non tornare con la mente ai tempi del Liceo, quando la teoria del Divenire di Eraclito mi faceva riflettere sul continuo e perpetuo mutamento delle cose, del loro perenne nascere e morire. Sarà questo moto perpetuo a condurmi verso la scoperta della vita di un uomo, del quale non so nulla, e del quale dovrei sapere molte cose arrivata alla fine dell’ascolto? Racchiudere trent’anni di vita in un disco, lo ammetto, mi sembra un progetto alquanto ambizioso, ma intrigante allo stesso tempo. Lascio il freno della ragione, accelero con l’immaginazione e premo play.

Una chitarra sinuosa che pizzica a tratti le note del Blues, mentre scrosci d’acqua e percussioni le fanno da sottofondo: è questa “Panta Rei”, il vagito iniziale del disco, un’introduzione strumentale che dice già molto sulla qualità di ciò che sto per ascoltare. È da qui che ha origine tutto. Il vagito si trasforma subito in voce possente con “Madness of Metropolis”, pazza come il titolo che si porta dietro, come la metropoli che descrive; è qui che si alternano momenti di lentezza e malinconia Blues a lunghi assoli estremi e deliranti.  Le tonalità Blues si perdono nella violenza emotiva di  “Violence is Cold” che si apre ad un Rock più duro al quale però non riesce a stare dietro con la voce, decisamente più adatta per altre sonorità, come quella di “Like a Jewel”, perfetta negli arrangiamenti e nella melodia malinconica, estremizzata da assoli di chitarra struggenti. “Goodbye” è leggera, come l’ arrivederci di chi parte in punta di piedi per non fare rumore e sente già la mancanza di ciò che ha lasciato dopo il primo passo; è il sassofono che stavolta  entra in campo a dar voce a questa tristezza. Sembra esser questo il sentimento prevalente nel disco (e nella vita di Allegro) a partire da questo momento; in “Come Down” si arrivano a sfiorare sonorità Jazz, mentre un senso di confusione e frustrazione sono accentuati in “I’m Not Here”, dove il suono si frammenta in irregolarità deliranti. “In or Out”, strumentale, è invece di passaggio tra l’inquietudine dei pezzi precedenti e la serenità di “She Saved Me”, ballata d’amore per chitarra e voce, segno di una ritrovata felicità. “Punchinello’s Moonlight”, il chiaro di luna di Pulcinella, è il pezzo strumentale che chiude l’album, o che comincia una nuova storia, in virtù di quella famosa teoria del Divenire, del nascere e morire, per poi magari rinascere ancora.

È stato interessante viaggiare nella musica e nella vita di Antonio Allegro. A volte è stato semplice entrare nei suoi stati d’animo, a volte un po’ meno; sempre e comunque ho trovato una chitarra come valida compagna durante questo percorso. Credo sia la stessa che abbia accompagnato lui durante il suo.

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Il Video della Settimana: Inguine di Daphne – I Danni Del Desiderio

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La scelta di questa settimana cade sul terzo videoclip ufficiale dal terzo album (I Danni del Desiderio) della band Inguine di Daphne, formazione nata nel 2004 e formata da Alessia De Capua, Alexandr Sheludckò, Dagon Lorai, Dario Alcontrario e Egon Viqve. La band, che unisce sapientemente musica e teatro è prodotta da First Floor Factory mentre la clip che trovate di seguito e in homepage per tutta la settimana, è diretta da Giuseppe Barbato.

Sito Ufficiale

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The Gluts – Warsaw

Written by Recensioni

Le atmosfere sono grigiastre, gli animi diventano cupi e a tratti si viene travolti da un senso d’ inquietudine. Sono le sensazioni trasmesse da Warsaw il disco d’esordio dei milanesi The Gluts ispirati, in primis, dai Joy Division (pilastri incontrastati della New Wave). Ma Warsaw non è solo questo, ha venature Noise Punk con riff di chitarra metallici, a volte striduli, a volte distorti. Una miscela esplosiva che rende il disco molto interessante e di un certo rilievo. Parliamo di un album che suona bene e non stanca in nessuna occasione chi ascolta, anzi, direi che scorre liscio ed il secondo ascolto risulta più piacevole del primo. L’impressione è quella di ascoltare un lavoro capace di unire malinconiche sonorità tipiche dei già citati Joy Division a quelle più elaborate dei Christian Death e dei Death In June, il tutto senza tradire l’andamento “cavernoso” intrapreso nel concept. Da sottolineare l’ottimo lavoro della musicista Claudia Cesena, capace di trasformare il suo strumento in vena pulsante del disco. Da invidiare tecnicamente un suo passaggio da una ritmica lenta ad una più veloce.

Una nota positiva si deve dedicare anche alle tematiche affrontate, in “Rag Doll” si parla della violenza sulle donne mentre in “Vietnam” si parla della guerra vista attraverso gli occhi di un adolescente vittima di abuso per mano di sedicenti salvatori. Warsaw è una perla di disco, trascinante e coinvolgente, una partenza ottima per i The Gluts che con impegno e serietà sono riusciti a raggiungere un notevole primo traguardo. La riuscita del disco comunque è dovuta anche all’ ottimo lavoro svolto da James Aparicio e Maurizio Giannotti nelle fasi di mixaggio e registrazione, quest’ ultima operazione avvenuta al New Mastering Studio di Milano. Non resta che ascoltare e gustarsi questo primo platter dei The Gluts, che detto francamente con queste idee possono soltanto progredire e creare album degni di nota. Una vera diavoleria per gli amanti del genere e non solo, un esordio discografico imponente per questi ben amati milanesi con la New Wave nel cuore.

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Yann Tiersen annuncia un live in Italia

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Si tratta di un’anteprima della rassegna Monfortinjazz, delicatissima maifestazione che negli anni ha saputo accogliere nella piccola cittadina piemontese di Monforte d’Alba, artisti del calibro di Paolo Fresu, Agnes Obel, Stefano Bollani, Petra Magoni e Ferruccio Spinetti. Nei giorni scorsi è stata comunicata la data del 27 luglio per l’esibizione di Yann Tiersen, musicista poliedrico ed eclettico, salito alla ribalta per la sonorizzazione del film “Il favoloso mondo di Amelie”. I biglietti, al momento, non sono ancora disponibili, ma certamente è una notizia da segnare in agenda.

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Editors: due date in Italia a luglio!

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Dopo il grande successo della data di Bologna dello scorso febbraio, gli Editors tornano nel nostro paese per due date estive a Milano e Roma per presentare l’ultimo acclamato album The Weight of Your Love uscito in estate su etichetta Play It Again Sam e in programmazione nelle radio di tutto il mondo con il nuovo singolo “Sugar”. La band inglese suonerà il 20 luglio a Milano all’Ippodromo del Galoppo e il 21 luglio a Roma all’Ippodromo delle Capannelle. Prevendite su TicketOne e VivaTicket.

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Pierpaolo Capovilla, il primo singolo ad Aprile

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E’ di poche settimane fa l’annuncio del debutto solista di Pierpaolo Capovilla, dopo un lungo percorso da protagonista con la band cardine Il Teatro degli Orrori. Il suo primo album sarà nei negozi entro l’estate su etichetta Virgin / La Tempesta per Universal Music.
Il disco sarà anticipato ad aprile dall’uscita del primo singolo, un estratto che introduce al nuovo viaggio intrapreso da Capovilla, un viaggio che lo porterà nuovamente sul palco a partire dall’estate di quest’anno.

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Blunepal – Follow the Sherpa

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I Blunepal sono in tre ma spaccano il culo come fossero cinquanta. Atteso disco d’esordio Follow the Sherpa, attesissimo perché le precedenti produzioni facevamo sperare (giustamente) in qualcosa di veramente interessante. E non è la solita pappa noiosa e confezionata ad arte per inneggiare al nulla, le mode qui non c’entrano un cazzo e la musica finalmente assume un valore primario. Loro non fanno parte dei consueti venti gruppi osannati ingiustamente dagli ascolti del bel Paese, i Blunepal sono vergini e genuini come poca roba in Italia. Questo è Post Jazz strumentale caratterizzato ad esaltare le atmosfere crude e violente, nessun accenno alla tenerezza, le coccole non sono contemplate mai in questo disco. Lavoro dai coglioni quadrati punto e basta. Parliamo di un genere anni settanta modernizzato alla perfezione, per intenderci meglio viaggiano sulla stessa strada dei più noti Calibro 35, realizzando palpitanti colonne sonore di inseguimenti polizieschi all’ultimo respiro.

Follow The Sherpa non lascia mai pace all’ascoltatore, il ritmo è sempre super tirato e il volume non dovrebbe mai scendere sotto la distruzione dei timpani, “And There Were Three” rilassa il corpo per poi sperderlo lungo traversate Post Rock. “Rabbit” di cui esiste un video ufficiale devasta subito la mente con improvvise sterzate e colpi d’effetto. Energia da vendere fino alla particolare “Youzi”, adesso riesco a distendere i muscoli sotto il massaggio di riff pacatamente Jazz. La pace dei sensi non era ancora di mia conoscenza fino a questo momento. Ambient corrotto e minimalista nella concentrica “Fake”, il basso dirige lentamente tutti i miei movimenti portandomi esattamente dove vorrei essere in quel preciso momento. E quando prima parlavamo d’inseguimenti cinematografici non era per caso, prendete una serie d’azione degli anni ottanta e buttateci dentro “Into The Cinema”, è tutto quello che si potrebbe richiedere da una perfetta colonna sonora. E se pensate che tutto questo sia surreale non avete ancora centrato le potenzialità dei Blunepal. Non poteva mancare l’omaggio al re delle colonne sonore per eccellenza, un brano intitolato “Morricone” non ha bisogno di ulteriori spiegazioni e commenti, la dolcezza e la volgarità di una corposa colonna sonora. La chiusura del disco è affidata a “Tomorrow Never Knows” dei Beatles, ri-arrangiata ed eseguita per dare l’idea netta di un omaggio e non di una banale cover. Forse ho trovato qualcosa di veramente valido nella musica del trio genovese Blunepal, la stanchezza della solita musica sembra ormai un lontano ricordo, loro sanno accaparrarsi l’attenzione con brani quasi interamente strumentali, sembrano reggere alla grande il confronto con i mostri sacri del genere. Follow The Sherpa entra timido nel mio lettore ed esce raggiante come non mai, questa è musica forte, i Blunepal suonano cose d’avanguardia senza essere secondi a nessuno. Cercateli dal vivo dove sicuramente saranno fenomenali e comprate questo disco, il migliore del duemilaquattordici fino a questo momento. In queste poche situazioni sono fiero di essere italiano.

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D.In.Ge.Cc.O. – Y.S.I.L.F.U.

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L’esordio di Gianluca D’Ingecco, in arte D.In.Ge.Cc.O., titola Y.S.I.L.F.U. (sta per “your spirit is looking for u”) ed è una raccolta di brani elettronici strumentali dalla durata media di sei/sette minuti. In otto tracce di atmosfera vintage, tra sintetizzatori pastosi, beat retrofuturistici, arpeggiatori frizzanti, D.In.Ge.Cc.O. ci dona il biglietto per un viaggio in un mondo tutto suo, di un’Elettronica giocattolo di riff scomposti e soundscapes ruvidi. Lo sguardo di D.In.Ge.Cc.O., che in questo disco riflette sue più ampie filosofie (“D’Ingecco si propone di far luce su tutte le sensazioni che nascono da tutte le esperienze umane, sia quelle terrene, ovvero quelle legate ad un mondo crudo, minimale e molto violento ma reale, sia quelle riferibili ad un mondo immaginario surreale, a volte rappresentante esperienze al di là del tempo e dello spazio”), pare comunque volto al passato, per quanto riguarda sonorità e scelte stilistiche, con alterne fortune: in alcuni episodi sembra fuori dal tempo, piacevolmente, in un tentativo di catturare l’ascoltatore nella trappola di armonie rotonde e suoni slabbrati, spigolosi, con una punta di fastidio che è come grattarsi un prurito, un soddisfacente disagio; in altri, pare un rigurgito di tempi che furono e non sono più, sommersi da ormai brevissime e rapidissime ere elettroniche che hanno portato con loro altri gusti, suoni, paesaggi. Ma ricordiamoci che nulla si crea e nulla si distrugge, e che la ciclicità è la vera legge delle cose che non esistono, come l’anima e la musica.

Quindi largo a D.In.Ge.Cc.O. e al suo affascinante enigma: in bilico tra passato e futuro, il disco scorre, si lascia ascoltare, un piacevole panorama che sfreccia fuori fuoco oltre il finestrino di un treno veloce il giusto. Y.S.I.L.F.U. non apre nessuna porta prima chiusa, ma ci mostra un vecchio corridoio in cui non mettevamo più piede da un po’, ed è un corridoio che hanno riarredato da poco. Farci due passi potrebbe anche non essere un male.

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