Gennaio, 2014 Archive

AliceLand – Pensieri Raccolti

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Pensieri Raccolti è il titolo del primo album di Alice Castellan, in arte AliceLand: una raccolta di brani scritti dalla stessa Alice ed arrangiati dal bassista Andrea Terzo. Ma procediamo con ordine, partendo dal nome, che mi evoca all’istante Alice’s Adventures in Wonderland (Alice nel Paese delle Meraviglie, per farla breve) di Lewis Carrol; la mia fantasia galoppa. Il titolo dell’album, Pensieri Raccolti, mi porta invece alla mente la visione di pensieri intimi e profondi, raccolti in sé stessi, rannicchiati in posizione fetale; tanti piccoli embrioni cerebrali che possono crescere e diventare progetti, sogni che si avverano, futuro, ma che possono anche rimanere là dove sono, e spegnersi lentamente in vaghi ricordi. A questa visione però ne segue subito un’altra, ed è quella in cui un’Alice spensierata e saltellante raccoglie pensieri in maniera un po’ distratta e li mette in un cesto a forma di disco che si porta dietro, riempiendolo. La mia fantasia galoppa ancora più forte. Premo play, e neanche a farlo apposta, il primo brano si intitola “Immagina”, e si dichiara subito in uno stile Pop gradevole, almeno fino al ritornello, almeno fino a quando la voce di Alice (voce che tra l’altro non mi dispiace affatto) non si accanisce sull’ultima nota di ogni verso con un virtuosismo eccessivo, con un suono simile ad un gemito, che si ripete per una, due, tre, quattro, n volte. Solo alla fine del disco potrò affermare che il mio dubbio è in realtà una certezza: quel suono è presente in tutto l’album. Aiuto.

I riferimenti ad Elisa li colgo subito, soprattutto nel brano “Pianeti”, forse tra i più interessanti. Interessante anche l’utilizzo delle percussioni etniche in “Stronger (ovunque)” e “Sacred Mountain”, dove diventano veri e propri elementi caratterizzanti che valorizzano il brano. Solo in rarissimi casi mi hanno colpito i testi, che non ho trovato così intimi e profondi come il titolo dell’album mi aveva fatto immaginare. La parte musicale invece, interamente suonata in acustico, mi è sembrata essere più vicina al concetto di intimità espresso dal titolo. Altro elemento costante per tutta la durata del disco è il tema amore, preferibilmente nella sua variante che fa rima con dolore. Premetto che non ho nulla in contrario a questa variante, ma è davvero così grande il dolore di Alice da meritarsi tutto questo spazio nel disco? Oppure bastava semplicemente dare maggiore importanza ai Pensieri Raccolti di cui sopra, quelli rannicchiati in posizione fetale, più intimi, e non accontentarsi di raccoglierne alcuni in maniera distratta per riempirne un disco? (Traduzione: non conveniva magari ridurre il numero dei pezzi, attualmente quattordici e scegliere in maniera più opportuna quelli da inserire?). La musica per me ha l’effetto terapeutico di mettere a tacere, anche se temporaneamente, gli interrogativi che mi porto dietro da sempre.  Questa volta sono troppi quelli che mi restano alla fine dell’ascolto.

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Pontiak – Innocence

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C’è una musica che si suona con la parte più profonda del nostro subconscio, una musica che rigetta il calcolo, lo studio, la pianificazione, ma che è espressione di un’ansia, di un bisogno, di una necessità. È una musica da suonare di getto, da ascoltare a volumi elevati, che altera la coscienza e le percezioni, che ci sfida a seguirla per sentieri tortuosi scavati da sinapsi libere da costrizioni. Ed è la musica che ci schiaffeggia all’apertura di questo Innocence dei Pontiak: tre brani in fila come ganci di pugile, tra stonerismi e Garage Rock lo-fi, con chitarre-trapani, riffoni Hard Rock, suoni di batteria sporchi e confusi, voci al limite dell’intonazione e ritmi da lento ondeggiare sconvolti in locali che puzzano di birra e urina (“Innocence”, “Lack Lustre Rush”, “Ghosts”). La partenza fa ben sperare: mi convinco che questi tre fratelli cresciuti a Blue Ridge Mountain, Virginia, siano nuovi alfieri della Neopsichedelia, d’altronde sono loro ad ammettere di non aver mai studiato niente, di aver suonato pochissimo al di fuori del loro “trio di famiglia” e di essersi scelti per una questione di immediatezza, di profonda conoscenza reciproca.

Poi parte “It’s the Greatest” e penso sia una pubblicità di Spotify (avete presente?): un organo e poche chitarre, a creare un tappeto che, con la batteria, si inoltra in un mondo più molle e molto più orecchiabile, con riff di chitarra semplici e diretti e una voce parecchio lineare. Non un brutto brano, ma qualcosa che, finita la tripletta iniziale, non ci saremmo mai aspettati. A questo punto temo per il proseguimento del disco: e infatti, con “Noble Heads” arrivano chitarre acustiche da gruppetto Neo Folk e un andamento più Country, e l’unica cosa che ci salva sono le chitarre, gonfie, frementi, che appaiono qua e là a sottolineare l’avanzamento del brano. Aspetto con ansia il momento del ritorno all’energia e all’impatto iniziale, ma sembrano non arrivare mai: “Wildfires” è ancora più Indie, con chitarre acustiche acide e voci lamentose in primo piano, stemperate solo dal mare di cimbali che appare sul refrain. E poi ecco, “Surrounded by Diamonds”: e tornano i fuzzoni, le chitarre iper-compresse, l’andamento ondeggiante, tra i Black Sabbath e una versione meno Metal e più Indie dei Kyuss. Sono un amante dei gruppi che riescono a variare nei dischi, senza fare album con dieci volte la stessa canzone: ma mi chiedo come faranno i Pontiak a portare dal vivo un album del genere, che continua nell’elettricità con “Beings of the Rarest”, batteria torturata e feedback, voce sopra le righe e distorsioni dalle unghie lunghissime. Sembra che i tre brani più morbidi fossero solo una pausa per poi tornare a saturare l’aria con la vibrazioni frementi di un’urgenza molto, molto più palpabile (vedi l’assolo sanguigno che chiude quest’ultimo brano).

Con “Shining” si rimane su questo livello, rumori e pressione sonora che si svuotano in strofe più Indie, con in generale un impianto leggermente più contenuto, uno stile che mi ricorda le raccolte Nuggets sulle band psichedeliche degli anni 60. Il finale improvviso ci stoppa brutale e ci consegna gli ultimi due pezzi del disco: “Darkness Is Coming”, una ballata dalla voce echeggiante di slap delay, chitarre acustiche lontane, e maree di elettriche che spuntano qua e là, in un classico istantaneo, una canzone che potrebbe essere stata scritta trenta o più anni fa; e poi la chiusura con “We’ve Got It Wrong”, satura e ritmica, con qualcosa di britannico nella melodia del ritornello, dal tono ironico e scanzonato.  Insomma, i Pontiak hanno saputo sorprendermi, confezionando un album intenso, di acida e psichedelica follia elettrica ma mai veramente violento, infilandoci dentro tre o quattro episodi di rilassatezza e orecchiabilità Indie, con un salto estremamente acrobatico ma che, qualche ascolto dopo, può anche avere il suo senso. I tre fratelli Carney sanno tessere inni al qui e ora con naturalezza, senza troppa teoria, mantenendo vivo e vibrante solo l’essenziale (brani brevi, dalle strutture ridotte all’osso, e chiusure tagliate con l’accetta). Innocence è senza dubbio un disco da provare se si è alla ricerca di un mix killer di Psichedelia vecchio stile, riffoni fuzz, impianto lo-fi e saltuarie immersioni in balsamo uditivo per calmare i peduncoli auricolari. Per farne un disco inappuntabile si doveva “progettarlo” un po’ di più: ma senza quest’immediatezza così brutale non sarebbero stati i Pontiak.

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Elli De Mon – Elli De Mon

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Elli de Mon, già “anima Folk” dei Le-Li, con cui ha girato Italia e Europa e pubblicato due dischi e un EP su Garrincha Dischi, arriva a questo primo lavoro solista con l’intenzione di esorcizzare il proprio demone interiore scatenando, libera e cupa, la voglia di Blues che il gruppo contribuiva a tenere in stand-by. L’omonimo album è quindi un concentrato di Folk scuro, Blues ossessivo, sporco, dai suoni ruvidi e dall’andamento ondeggiante, con versi ripetuti come “mantra autoreferenziali attraverso i quali liberare la mente”. Mettere in scena l’anima solitaria e oscura attraverso il Blues (soprattutto questo Blues, dall’impianto Garage, con uno spirito quasi Punk e una rappresentazione a bassa fedeltà che ci dà l’idea di un racconto attorno ad un fuoco, sì, ma di rifiuti urbani) è un gioco che riesce sempre bene, e, complice la semplicità (relativa) di realizzazione, un gioco che viene tentato sempre più spesso.

Non che sia un male: il bello del Blues è di saper essere intrigante anche nella ripetizione. Sempre uguale a sé stesso, ma sempre diverso; la stessa maschera, le stesse movenze, ma labbra (e anime) diverse che possono dire cose diverse. Il disco di Elli de Mon non è da meno: un impianto che più classico non si può, che però racconta un mondo personale, con qualche guizzo caratteristico (“Devil”, “Devote”, “Spell”), attraverso pochi (e ovvi) ingredienti (slide guitars, banjo, sonagli). Niente di nuovo sotto il sole, quindi, ma solo vecchi demoni nell’ombra.

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The National in Italia!

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Reduce dall’enorme successo dell’ultimo bellissimo album Trouble will find me, uscito nel 2013 per la 4AD, che è valso al quintetto anche la nomination ai Grammy Award come Best Alternative Album 2013, la band di stanza a NY guidata da Matt Berninger arriva in Italia per tre imperdibili concerti. Trouble will find me, sesto album dei The National che nei prossimi giorni lanceranno il nuovo singolo “I need my girl”, ha consacrato definitivamente la band come una delle formazioni rock più importanti ed influenti del panorama contemporaneo.
La band sarà in Italia per tre live:

22 luglio 2014 – Ferrara – Piazza Castello – Ferrara Sotto Le Stelle

25 luglio 2014 – Vasto (Ch) – Siren festival

29 luglio 2014 – Gardone Riviera (Bs) – Anfiteatro del Vittoriale

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Spring Attitude: un festival in più nella capitale!

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SPRING ATTITUDE e’ un festival dedicato alla musica contemporanea, prevalentemente di matrice elettronica. Giunto alla sua quinta edizione, dopo aver ospitato artisti nazionali ed internazionali di rilievo assoluto quali SBTRKT, Disclosure, Gesaffelstein, John Talabot, XXYYXX, 2Maydjs, Vitalic, Breakbot, Who Made Who, Gold Panda, torna forte di numerose novita’ il 23 e 24 maggio 2014 a Roma, allo Spazio 900. Headliner saranno i Four Tet, i Com Cruise e nuovamente i Gold Panda. Per ulteriori informazioni, visitate il sito del Festival.

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The Zen Circus – Canzoni Contro la Natura

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Cavalcare sempre la cresta dell’onda non è cosa semplice, soprattutto per una band ormai decennale e con sfracelli di dischi, progetti e collaborazioni alle spalle. Gli Zen Circus dopo un anno di silenzio volontario dedicato ad altre situazioni non mancano l’appuntamento discografico del duemilaquattordici (dove l’Indie italiano d’èlite sput(a)erà dischi a ripetizione) partecipando alla fiera delle uscite con il nuovo Canzoni Contro la Natura. Io sinceramente non ho mai capito cosa la gente si aspettasse dal Circo Zen, non capisco neanche quando venivano considerati questo eccelso prodotto, però capivo che mi piacevano e pure parecchio. Naturalmente il genio non vive eternamente dentro l’indole compositiva di Andrea Appino e compagni, ma una volta entrati nella loro dimensione scanzonata tutti gli altri ascolti che seguono perdono di lucidità. Penso più a Zen Circus come schiaffo all’ipocrisia culturale in Italia. Il precedente disco solista di Appino (Il Testamento) non aveva infiammato il mio cuore lercio da punk invecchiato ma mi aveva così poco coinvolto che quasi non riuscivo a spiegarmi la targa Tenco come miglior esordio. Canzoni Contro la Natura arriva proprio nel momento in cui avevo bisogno di spensieratezza musicale, non mi aspettavo stravolgimenti epocali, sapevo quello che avrei trovato. “Viva” primo singolo estratto dal disco mette subito le cose in chiaro, pezzo semplice e bastardo, il diretto interessato capisce subito quali saranno i compromessi dell’intero lavoro. Un buon lavoro di marketing e il gioco è fatto. Problemi relazionali in “Postumia”, siamo una società incapace di comunicare, un invito a guardarsi negli occhi suonato a  ritmi poco concentrati. “Il futuro me lo bevo per non pensarci” cantano i combattenti del Folk Rock. E anche qui spezzo quindici lance a loro favore. Title Track “Canzoni Contro la Natura” e reggetevi forte perché a parte il basso crepato come meglio non si poteva e un ritornello alla kiwi e melone il resto mi delude assai. L’arroganza degli Zen Circus dove è andata a finire? Pezzo molto potente che perde il controllo, poco istinto e tanta finzione. È destinata a diventare la Hit del disco. Voglia di fare “spessore artistico” in “Albero di Tiglio”, il testo e la voce di Appino prendono tutta la scena di una canzone dai riff mediocri che non lasciano niente di dolce in bocca, innervosisco davanti a questa necessità di sentirsi intellettuali. De Andrè volutamente ricordato in “L’Anarchico e il Generale”, viene subito alla mente “Il Pescatore” anche perché Appino non è affatto nuovo a questo genere di omaggi, già nel suo precedente disco da solista aveva composto il brano “La Festa della Liberazione” ispirandosi fortemente al brano di Dylan “Desolation Row”. Queste trovate artistiche sono da considerarsi perfette per paraculare l’ascoltatore, Appino mi piace. “Mi Son Ritrovato Vivo” è  il classico pezzo sornione alla Zen Circus, ci siamo capiti, niente da aggiungere. “Nessuno regala niente nemmeno l’onnipotente”. Arie Folk che sanno d’Irlanda. “Dalì” puzza di Western e non trovo la collocazione giusta per incastrarla, improbabile riempi disco al gusto di necessità. Non gradisco le forzature. Azzardano molto a fare i cantautori nonostante il risultato giochi a loro svantaggio in buona parte dei pezzi. Questi Zen Circus sono parecchio lontani dagli anni di Villa Inferno con Brian Ritchie, inevitabilmente gli anni passano per tutti e le idee iniziano a mancare. Canzoni Contro la Natura andrebbe preso e scremato per bene e ne uscirebbero fuori due dischi distinti, uno con voto dieci e l’altro con voto due. La media è sei, giusto Prof?

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Vinile vs Cd vs Mp3: è una questione di qualità o una formalità?

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A parità di tecnica di registrazione vogliamo qui toccare i vari aspetti, ma anche le trasformazioni, che i supporti audio hanno avuto nel tempo e come lo studio dell’apparato uditivo, unito all’avvento dell’information technology, abbia aiutato a elaborare nuove tecniche di diffusione dei materiali audio. Cominciamo dal pentagramma; quando la frequenza fondamentale di una nota (es. LA1=110Hz, LA2=220Hz … LA4=440Hz) viene raddoppiata, non facciamo che andare più in alto di un’ottava. Allo stesso modo, se vogliamo salire di un semitono basta moltiplicare per 21/12 la fondamentale. Dodici sono i semitoni che compongono una scala. L’orecchio umano è in grado di percepire un range di frequenze che vanno da 20Hz a 20KHz e va detto che la massima sensibilità si ottiene intorno ai 2-4KHz (che è la banda vocale utile trasmessa ad esempio sui cellulari); inoltre, come è facile intuire, con l’avanzare dell’età il limite superiore dei 20KHz tende a diminuire. Provate voi stessi, cliccate play sul video qui sotto e sentite che età hanno le vostre orecchie!!!

Le variabili che entrano in gioco nella registrazione del suono, nella propagazione e successivamente nell’ascolto fanno si che, nel tempo, l’informazione contenuta nella registrazione sia andata via via diminuendo cercando di far risaltare maggiormente le frequenze dove l’orecchio ha la massima sensibilità. Così si risparmia memoria nei supporti a scapito di una “fantomatica qualità”. Dico fantomatica perché non fà differenza se ascoltate un vinile, un mp3 (con compressione decente) o un compact disc; non è il supporto a creare la differenza ma un insieme di cose come la qualità della registrazione, le vostre orecchie, il tipo di impianto Hi-Fi che avete in casa, l’ambiente che vi circonda e poi il supporto audio utilizzato. Quindi, lasciando perdere la registrazione perché non dipende da noi, le nostre orecchie per le quali c’è poco da fare, l’assenza di impianto Hi-Fi visto che i soldi sono sempre pochi, cerchiamo di capire che differenza c’è tra i supporti più diffusi.

Il Vinile è il supporto analogico per eccellenza e, seppur molti di noi non abbiano mai sentito il suo suono, rimane sempre un must per gli appassionati, tanto che alcuni riferiscono che il suo effetto acustico risulti “più caldo”: ma è solo l’irregolarità dei solchi che produce una lieve distorsione che lo fa sembrare tale. Messi da parte i gusti personali, l’incisione su vinile rimane molto fedele alla qualità dei trasduttori (microfoni) utilizzati per la registrazione. Sfatiamo però qualche mito: per prima cosa, è vero che durano anche 100 anni, certo ma a patto che li manteniate con cura, non li facciate cadere e che possediate un giradischi con una buona testina. Giradischi che, per suonare sfruttando tutte le qualità, ha bisogno di manutenzione periodica e di una spolverata se non utilizzato di frequente, dopo ovviamente aver sostenuto una spesa iniziale per l’acquisto cercando di non risparmiare troppo. Incidono sul suono, ad esempio, le vibrazioni derivanti dal motorino che lo fa girare e, del resto, si tratta pur sempre di suono riprodotto per mezzo semi-meccanico. GIUDIZIO: tanti ricordi portano da lui ma in fin dei conti al giorno d’oggi è scomodo da utilizzare.

Il Compact Disc è il primo surrogato dell’era digitale; l’audio stereofonico (LPCM) viene memorizzato in formato digitale, campionato a 44,1 KHz con campioni di 16 bit che regolano l’andamento della pressione sonora. I 44,1 KHz sono il risultato del teorema del campionamento di Nyquist-Shannon secondo cui la frequenza di campionamento deve essere doppia rispetto alla frequenza massima del segnale da acquisire. Ricordate la sensibilità dell’orecchio umano, 20 KHz? Ecco spiegato perché il CD ha un campionamento a 44,1 KHz e cioè per accogliere tutte le frequenze udibili dall’uomo. Seppure queste specifiche tecniche hanno reso il CD il migliore dei supporti, c’è da dire, come ben sappiamo tutti, che se non conservati bene alla lunga si rovinano. GIUDIZIO: ottima qualità, facilità di utilizzo, ma attenti a non lasciarli al sole.

MP3 e FLAC sono i nuovi formati digitali, “senza supporto”, adatti alla trasmissione e condivisione in rete. Ulteriormente compressi e campionati secondo specifici algoritmi ed estratti dal CD sono, rispettivamente, con perdita di qualità, lossy e senza perdita di qualità, lossless. Il formato FLAC (768 kbit/s) lossless rimane il più adatto all’ascolto, grazie alla sua alta fedeltà, molto simile al CD e una più versatile archiviazione che però vede file dell’ordine dei 10/20 MB. Non è facile trovare in rete del materiale con questi standard. GIUDIZIO: ottimo compromesso, adatto ai tempi che viviamo; peccato non sia così facile reperire album in questo formato. L’MP3 rimane il più utilizzato e diffuso ai giorni nostri grazie alla ridotta occupazione di spazio, 3/4 MB leggeri da streammare. Esistono tre diversi livelli di compressione sviluppati negli anni. Sintetizzando, possiamo dire:  Layer I, compressione a 384 kbit/s, eccellente qualità audio, utilizzato nei sistemi professionali digitali, utilizza il metodo di eliminazione delle frequenze mascherate sfruttando gli studi di psicoacustica. Layer II, compressione tra i 192 e i 256kbit/s, usa algoritmi più sofisticati del precedente ottenendo una qualità eccellente a 256 kbit/s ma anche a 192 kbit/s raggiunge buoni livelli. Layer III, compressione tra i 112/128kbit/s, utilizza, oltre che i precedenti metodi, anche una codifica estrema basata sull’entropia del contenuto informativo. Con 128 kb/s otteniamo un suono molto vicino all’originale. GIUDIZIO: è impossibile farne a meno al giorno d’oggi e se proprio potete scegliere prediligete il rapporto di compressione più elevato.

Ognuno ha i suoi gusti, o meglio le sue orecchie, basta non cadere troppo in basso e cercare il compromesso migliore nella situazione in cui vi trovate. Un sano trasformismo, senza bandiere da sventolare, ci può portare a scegliere il Vinile per gli album che ci hanno segnato o che non possiamo far a meno di possedere. Il Compact Disc in caso volessimo gustare a pieno o sostenere un gruppo. Il FLAC se proprio volessimo archiviarci tutto. Per tutto il resto c’è il buon vecchio e pirata Mp3.

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Biagio Accardi

Written by Interviste

Abbiamo l’onore e il piacere di essere in compagnia di un grande artista, uno di quelli che sembrano sbucati da un passato remoto. Biagio Accardi, cantautore calabro, reduce dalla sua esibizione a Pratola Peligna (AQ) con il suo spettacolo Kairos, ultima tappa di gennaio del tour e abbiamo voluto con lui cercare di capire meglio la sua visione della musica e della vita.

Ciao Biagio, come stai?
Ti rispondo con una battuta di un grande cantastorie (Otello Profazio): “Tutti i grandi cantastorie sono morti; Rosa Balistrieri, Ignazio Buttitta, Orazio Strano, Cicco Busacca …ed io non mi sento tanto bene” …sono anni che fa questa battuta sul palco e pur avendo una certa età lo vedo in buona salute (dire questo gli serve come atto scaramantico ?!) … comunque anch’io non me la passo male … Anzi!

So che oltre ad esibirti a Pratola Peligna, sei stato anche nei bellissimi borghi abruzzesi di Anversa e Bugnara. Che ci faceva un calabrese ad Anversa?
Respiro aria buona (ride ndr)

Cerchiamo subito di capire meglio che tipo di musicista sei. Cantastorie, menestrello, folk singer, cantautore. Chi è, insomma, Biagio Accardi e che cos’è Kairos, il tuo spettacolo che, ricordiamolo, solo a gennaio ha toccato anche Cuneo, Reggio Emilia e Imperia?
Artista, suonatore, viaggiatore e autore di canzoni. Ricerco ed elaboro sonorità ispirate al panorama etnico-mediterraneo. Le composizioni sono un affresco poetico a tratti psichedelico e ipnotizzante e a tratti ammaliante per il suo forte e intenso potere nostalgico. Studio la società tradizionale e moderna dei luoghi in cui vivo, ho sempre cercato di promuovere eventi artistico-culturali votati a valorizzare il Sud. Anche se spesso faccio date al nord per l’appunto !!! KAIROS smaschera i nefasti sotterfugi legati al mondo del lavoro, gli ideali del falso benessere che hanno fatto perdere alla gente la semplice comprensione del bello e delle cose vere, togliendogli la possibilità di essere felici. Le politiche delle multinazionali, che ci controllano, ci annientano e letteralmente avvelenano la nostra vita, vengono spacciate come indispensabili per la crescita economica e per il nostro benessere. Invertire questo sistema è possibile, adottando uno stile di vita rispettoso dell’ambiente e iniziando ad allontanarsi dai vecchi e logori schemi politici, economici e sociali. Gli antichi greci utilizzavano due parole per definire il tempo: Kronos e Kairos. La prima parola si riferisce al tempo logico e sequenziale, mentre la seconda rappresenta un tempo di mezzo, un momento in cui qualcosa di speciale sta per accadere. “Kairos” rappresenta quindi il tempo propizio per agire, quel momento è ora!

Mi sono giunte all’orecchio alcune voci che raccontano di un Biagio Accardi che se ne va in tour per la Calabria girovagando per le piazze dei paesi sul dorso del suo asino. Mi dicono anche che viaggi solo ed esclusivamente in treno o comunque con i normali mezzi di trasporto pubblico. Il tuo è un rifiuto del progresso come lotta contro uno sviluppo incontrollato e devastante o piuttosto una scelta di vita personale, legata a fattori più intimi?
L’idea mi è nata leggendo un libro di Mauro Geraci dal titolo Le Ragioni dei Cantastorie e che parlava di Orazio Strano, uno dei più grandi cantastorie siciliani; partiva dalla sua terra con l’asino e il carretto per portare i suoi spettacoli perfino in Calabria e nelle Puglie. Questa immagine del cantastorie che girava di piazza in piazza mi ha spinto a volerla “restituire” nell’immaginario nella memoria collettiva. Subito mi è venuto in mente che avrei potuto farlo anch’io, così avrei potuto evitare di percorrere grandi tragitti che implicano l’uso di mezzi di locomozione. ..ma se proprio devo, preferisco il treno; ecologico, economico e comodo per leggere, scrivere e ascoltare musica.  “Per fare quello che a me piace non per forza mi devo spostare in poche ore da Palermo a Milano ..e neanche è detto che devo possedere un’auto per sentirmi realizzato …passo dopo passo, con la mia amica L’asina Cometina, calpestando terra e respirando polvere realizzo sogni, faccio ciò che mi piace e mi sento vivo…    già sono in viaggio!”

Spostiamo l’attenzione su cose meno impegnative. Parliamo della musica italiana attuale. Credi che un musicista come te possa trovare un suo spazio dentro la scena emergente e indipendente italiana (parlo di Tv, webzine, spazi web, web radio, locali di musica dal vivo) o sei, volente o nolente, relegato a un ruolo marginale come visibilità anche se non certo come espressione artistica? Qual è attualmente il tuo ruolo in questo senso?
La maggior parte del lavoro è svolto, in autonomia, dalla nostra associazione culturale Cattivoteatro. Poi ci sono delle realtà che ci supportano: Marasco Comunicazione, Video8 Calabria, Immaginerie, Suoneria Mediterranea, Rock Bottom Records e altri …ma la domanda “se c’è spazio per la mia arte nella scena emergente” dovremmo farla al pubblico e agli addetti al lavoro.

Come Biagio Accardi è diventato il cantastorie che stiamo imparando a conoscere? Ci sono stati momenti o eventi precisi che ti hanno spinto a prendere questa strada?
Sin da bimbo ho avuto un’attrazione per l’arte. Crescendo quello che mi ha attratto di più è stata la musica. Avendo avuto anche una formazione da operatore turistico ho cercato di mettere insieme le due cose, realizzandole in alcune strutture ricettive della mia zona. Mi occupandomi del lato ricreativo. Dopo c’è stato in me un conflitto interiore; non riuscivo a capire perché la gente andando in vacanza ricercava le stesse cose che aveva già quotidianamente … ho fatto una lunga pausa di riflessione, finché ho incontrato il Maestro Nino Racco con cui ho fatto vari laboratori e seminari. Racco ha messo insieme le tecniche cantastoriali con quelle teatrali della commedia dell’arte. Cosa che mi affascinò molto al punto di prendere spunto dal suo lavoro. Inoltre ho conosciuto di persona Otello Profazio che è il cantastorie che ha fatto più lavori discografici a riguardo.

A proposito, facci capire bene. Nella vita ti occupi di altro o sei musicista a tempo pieno? E comunque, pensi che nel 2014 si possa scegliere di essere musicisti professionisti (turnisti esclusi)?
Ho dedicato tutta la mia vita a questo mestiere e credo che continuerò a farlo fino alla fine dei miei giorni.

La tua musica è molto legata al teatro e alla teatralità. Non a caso Kairos è strettamente in contatto con l’associazione Cattivo Teatro. Di che si tratta?
L’ASSOCIAZIONE CULTURALE CATTIVOTEATRO è nata nel 2002 dalla commistione di svariate esperienze e competenze, il cui scopo sociale è la promozione e la realizzazione di spettacoli teatrali, convegni, manifestazioni artistiche, musicali, folkloristiche e letterarie, che abbiano carattere educativo. “Si propone in particolare la promozione di iniziative atte a sviluppare una maggiore coscienza socioculturale”. CATTIVOTEATRO è un’esperienza unica, che nasce dalla voglia di fare cultura fuori dagli schemi aberranti della cultura massificata e mercificata che nei tempi che corrono, ci opprime e ci aliena, essendo una non-cultura, una forma di ignoranza massificata. Laddove per ignoranza si intende appunto la mancata conoscenza. Mancata conoscenza di se stessi, mancata conoscenza del mondo che ci circonda. La cultura di massa che ci travolge è, infatti, mercato e basta.

Tra le tue tantissime avventure a spasso per l’Italia, ti sarà capitata una serie infinita di situazioni strane. Raccontaci l’episodio più divertente e grottesco che ricordi ma anche il più antipatico e brutto, quello che vorresti cancellare per sempre?
L’evento più grottesco è stato quando si avvicinò un signore dall’accento (ma anche di più dell’accento) partenopeo che mi contestava che non riuscì a capire bene lo spettacolo, colpevolizzando l’uso del dialetto in alcune parti. La cosa che mi stupiva è che il 70 % dello spettacolo è in Italiano; ho concluso, tra me e me, che forse non conoscesse che il suo dialetto …solo quello! Quelle più antipatiche e da cancellare per sempre sono state già rimosse!

La tua musica ha un forte valore culturale e sociale, soprattutto come strumento di preservazione e conservazione della memoria. La musica (e comunque l’arte in generale) deve sempre avere un ruolo sociale per essere scritta con la maiuscola?
Ne sono fermamente convinto ! …tutto il resto non è arte ma mero intrattenimento che si basa sul concetto di estetica e basta …ma non credo che sia questo il ruolo dell’arte e degli artisti.

La tua musica, oltre che influenzata dalla tradizione folkloristica italiana, sembra attingere anche al Folk più attuale e pare ispirarsi vagamente a band come gli Yo Yo Mundi o la Bandabardò. C’è questo nella tua formazione musicale? E cosa ti piace ascoltare abitualmente?
Abitualmente ascolto di tutto, ovvero tutto quello che ha un certo spessore poetico e culturale. Frank Zappa gira spesso in playlist!

Facci il nome di qualche band, magari emergente, che non dovremmo lasciarci scappare?
Magari, Adriano Bono e la Minima Orchestra oppure le fantastiche Honeybird o i giovanissimi Musicanti del Vento.

Che cosa distingue il Biagio Accardi uomo dal Biagio Accardi musicista e dove vedi entrambi tra vent’anni?
Li vedrei sicuramente, entrambi, negli stessi luoghi: tra la musica, sulle strade del mondo e fra la gente!

Ti faccio ancora i complimenti per l’esibizione che ho avuto il piacere di gustarmi. A proposito, si può portare anche musica come la tua fuori dai teatri e piuttosto nei luoghi di aggregazione giovanile come può esserlo il locale che ti ha ospitato?
Questa potrebbe essere una sfida stimolante!

Ciao Biagio con l’augurio di rivederci presto.

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Almamegretta 18/01/2014

Written by Live Report

Sabato diciotto Gennaio, l’Arenile di Bagnoli (NA) era pieno di gente; in molti erano accorsi per ascoltare un gruppo napoletano di grande spicco, storico senza ombra di dubbio: gli Almamegretta. Arrivo al locale giusto in tempo, dieci minuti prima che Raiz e soci iniziassero lo show. Il pubblico era variegato e poteva capitare di imbattersi nell’adolescente, come nella milf, nel fighetto o nel tipo alternativo che ogni tanto rotolava uno spinello; insomma, questo show degli Almamegretta erano in molti a non volerselo perdere, compreso il sottoscritto che nutre una grandissima stima per il gruppo protagonista della serata. L’esibizione fila liscia, tutto sommato, tra grandi classici e qualche pezzo più da intenditori e fanatici. Lo stile è sempre quello, l’energia anche e l’unica pecca, se devo essere sincero, che ho notato e che anche altri colleghi hanno sottolineato, è stata la voce di Raiz. Non tanto per stonature o altro del genere ma più banalmente perché troppo spesso coperta dai suoni, probabilmente non proprio per un errore tecnico ma per una precisa scelta della band, scelta certamente da rivedere e sulla quale c’è molto da lavorare. Le canzoni proposte, come già accennato, sono chiaramente quelle perfette per accontentare un po’ tutti, andando a pescare le più rappresentative di ogni album, magari concentrandosi maggiormente su Controra, il loro ultimo disco. Ottima l’esecuzione e quindi da sottolineare per quanto riguarda “Amaromare”, “La Cina È Vicina”, “O Sciore Cchiù Felice” e “O Buon e o Malament”.

La chiusura dello show spetta alla bellissima e riuscitissima “Nun te Scurdà”, canzone che tutto il pubblico dimostrava di conoscere a memoria e non pare un caso che Raiz l’abbia lasciata cantare per buona parte ai suoi sostenitori; mentre il palcoscenico per l’ultimo respiro è tutto per l’immancabile “Sanacore”. Era la prima volta che sentivo gli Almamegretta dal vivo; il loro è uno show suggestivo, soprattutto se gustato, come è capitato a me, in compagnia di un paio di birre e un bel pacchetto di Marlboro. Personalmente appena avrò una nuova occasione di ascoltarli live non ci penserò due volte e correrò subito da loro.

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Nuovo album per i Christine Plays Viola

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I Christine Plays Viola hanno annunciato l’uscita del loro ultimo lavoro discografico. L’album si intitolerà Vacua e sarà disponibile su supporto fisico e digitale dal 1 marzo 2014.

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Cosmic Box: il nuovo disco

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Riceviamo e pubblichiamo:
Dal 21 Gennaio 2014 disponibile in tutti i negozi digitali l’Album L.B.S. (Last Broadcasting Station) dei Cosmic Box distribuito e promosso da ALKA record label, che conta dieci tracce tra cui il brano estratto come singolo “New Way Home” in rotazione radio. Il nuovo disco esce dopo 4 anni dall’esplosivo esordio discografico dei Cosmic Box con l’EP “Not Better… Simply Differet” del 2010, grazie al quale la band si è messa in mostra trascinata dal singolo “Closer”, con il quale ha saputo ritagliarsi il proprio spazio nel panorama indipendente. L.B.S. (Last Broadcasting Station) è batteria pulsante, basso energico e distorto, sostengo un tappeto di chitarre ruvide dalle eleganti armonie, dando corpo e spessore ad una voce calda ed intensa dai testi sempre all’altezza… uno sguardo, un punto di vista ricco di emozioni. Un disco rock per palati fini.

Di seguito il videoclip:

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Ritorna il TUBE CULT FEST! Rockambula è Media Partners!

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Dopo una sabbatica battuta di arresto torniamo a parlare del Tube Cult Fest, appuntamento Heavy-Psychedelico nato nel 2008 e giunto quest’anno alla sua sesta edizione. La filosofia dietro al festival è quella di sempre: un amore sconsiderato per l’underground, per l’indipendenza, per il volume. I primi nomi che andranno a comporre la line-up del fest sono: Samsara Blues Experiment (unica data italiana), Glitter Wizard (unica data al centro-sud), Mombu e Zolle. Nel corso delle prossime settimane saranno annunciate le restanti band. Il Tube Cult Fest si svolgerà come sempre a Pescara, questa volte in contemporanea presso Orange Rock Café e Maze, venerdì 18 e sabato 19 aprile 2014. The Cult is back. Rockambula Webzine è Media Partner dell’evento. Un Festival importante a cui teniamo tanto.

Partecipate all’evento cliccando qui.
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